Il reddito di cittadinanza è utopia serve un lavoro di cittadinanza

di Redazione
16 Marzo 2017

Per uno spirito candido come il mio, non è mai abbastanza lo stupore per il vuoto pneumatico di idee e di proposte che caratterizza tutto l’arco politico. Eppure, la qualità e la gravità dei problemi del paese sono ben noti e non sarebbe difficile trovare terapie adeguate. Vediamo, ad esempio, le due questioni sociali più gravi, che in parte si sovrappongono, la diffusione della nuova povertà e la disoccupazione giovanile. I cinque stelle credono che la terapia possa consistere nella loro unica proposta di bandiera, il reddito di cittadinanza che, com’è noto, è insostenibile perché costerebbe alcune centinaia di miliardi. Se in politica contasse ancora “il cervello”, se ci si confrontasse ancora sui “contenuti”, si potrebbe convergere su una ben più efficiente ed efficace proposta: il lavoro di cittadinanza. In un Paese in cui il lavoro è sempre più una risorsa scarsa (con oltre il 40% dei giovani disoccupati) si potrebbe puntare su nuove opportunità di lavoro davvero economicamente o socialmente utile, per avviare così al lavoro, con piani straordinari, i giovani e anche i non più giovani in condizione di povertà.

Le due prime aree di destinazione di questo progetto straordinario di avviamento al lavoro dovrebbero essere le aree del centro Italia colpite dal terremoto e il Mezzogiorno. Quanto alle aree colpite dal terremoto, si dovrebbe puntare sulla ricostruzione, sulla rinascita imprenditoriale e sul riassetto territoriale. Quanto al Mezzogiorno, si tratterebbe di coinvolgere le migliori competenze e tante energie lavorative giovanili in un grande piano di riassetto idrogeologico del territorio e rilanciare un grande progetto dei giovani al lavoro tramite progetti di formazione – lavoro e tramite l’apprendistato. Se la classe politica fosse in grado di lanciare un progetto integrato di lavoro di cittadinanza, forse, potrebbe rilegittimarsi presso i cittadini che vedono i partiti, a cominciare dal PD, sempre più richiusi nelle proprie beghe interne e lontani dai veri problemi della gente. Fra l’altro, è vero che tutti hanno perso il senso della storia, ma già nel 1944, nell’ultimo periodo della sua carcerazione, Ernesto Rossi, nell’immaginare la rinascita economica e sociale dell’Italia, aveva scritto dalla sua cella un libro (poi ripubblicato nel 1976 da Paolo Sylos Labini) col titolo “Abolire la miseria” in cui proponeva un “esercito del lavoro”, con un’impronta simile a quello di cui avremmo bisogno oggi per risollevare le malandate sorti economiche e sociali del Paese. Ma Ernesto Rossi era una mente e uno spirito un po’ più illuminato di certi nostri attuali politici che neanche ne ricordano il nome…

Luigi Tivelli