Alfano e la guida per il perfetto liberal che rinnega (di nuovo) il suo passato

di Gennaro Malgieri
24 Febbraio 2017

Il ministro degli Esteri, nonché leader del Ncd, Angelino Alfano ha inviato una lunga lettera al Corriere della Sera dalla quale traspare un’eccessiva ambizione: lanciare una sorta di “manifesto politico” intorno al quale dovrebbero ritrovarsi tutti i centristi, altrimenti detti “moderati” (anche se non si capisce mai in che cosa consisterebbe in Italia il moderatismo politico) non per sconfiggere la sinistra (con la quale Alfano e i suoi pochi adepti eletti con i voti del centrodestra sono permanentemente alleati da circa quattro anni), ma per opporsi proprio a quella destra che gli ha dato voti e dunque poltrone. Lasciamo stare: l’irrilevanza elettorale di Alfano e dei suoi è talmente evidente che dedicargli qualche riga è di per sé inutile.

Piuttosto ci preme – ma solo perché la lettera del ministro è stata pubblicata con grande evidenza su un quotidiano nazionale – sottolineare la grottesca presunzione di Alfano nel definire ciò che è liberale e ciò che non lo è; che cosa sarebbe compatibile con il “suo” liberalismo e quanto di incompatibile c’è nelle forze politiche collocate nel centrodestra (semmai esiste ancora). Neppure Benedetto Croce o, più modestamente Giovanni Malagodi, si sarebbero inerpicati su un sentiero talmente impervio da rischiare un rovinoso scivolone: Alfano sì.

Ed eccolo il suo contributo politologico alla definizione del rapporto tra destra e liberalismo, dopo aver precisato che “a destra non c’è alcun liberale e, nell’area popolare e moderata, ce ne sono invece tanti che devono avere la generosità di unirsi per incidere e contare parlando con una voce sola” (francamente di questo affollamento non ci siamo accorti, ma si sa, siamo distratti eppure ci pare di ricordare come Alfano intrattenesse, non proprio nel secolo scorso, cordialissimi rapporti con quanti oggi iscrive nel registro degli antiliberali). Dunque, il ministro dice: “A destra c’è l’opposto del liberalismo: ritorno alle monete nazionali, eliminazione della libertà di circolazione, cancellazione del trattato di Schengen, ripristino delle frontiere, uscita dall’Europa, ritorno ai dazi doganali, antieuropeismo in «politica estera», protezionismo in politica economica, riduzione degli spazi di libertà conquistati negli ultimi decenni. Questo il cosiddetto «sovranismo» che ha la pretesa di renderci più ricchi e sicuri e, invece, ci renderebbe più soli, più esposti a rischi terroristici e certamente più poveri. Ecco perché la destra di oggi non ha nulla a che vedere con il centrodestra di questi ultimi vent’anni: quello che sognava e prometteva la rivoluzione liberale.”

Siamo incantati dalle certezze che Alfano sciorina con la leggera consapevolezza di aver finalmente conquistato la verità politica (e ideologica) troncando con il mondo di elezione dal quale proviene ed aggregandosi alla congrega renziana dove il liberalismo è di casa come se fosse quella di Luigi Einaudi. È intrigante comunque Alfano, bisogna ammetterlo. Dire, per esempio, che il “ritorno alle monete nazionali” sia l’opposto del liberalismo ci fa sobbalzare (ma non più di tanto): dunque, finché circolavano il sistema non era liberale? E quando il Trattato di Schengen non c’era ancora vivevamo tutti in un regime totalitario? E a quali “spazi di libertà” si riferisce, conquistati evidentemente da poco, forse che la Costituzione repubblicana non ne prevedeva abbastanza perché la nostra potesse definirsi una società tendenzialmente (almeno) liberale?

Andiamo, onorevole Alfano. Questi dubbi non li ha mai avuti fino a poco tempo fa quando frequentava gente che liberale, almeno nell’accezione corrente che l’ha folgorata di recente, non lo era, ma non per questo questo la disgustava. È vero, lei dice: “Noi siamo un’altra cosa e dobbiamo dimostrarlo fino alla fine”. Ce ne siamo accorti: prendere i voti da una parte e portarli in dote alla parte opposta è proprio un’altra cosa. Ma ne abbiamo viste tante in Parlamento e fuori ed insieme con lei, segretario per una breve stagione del Pdl (difeso da chi liberale non era quando il suo Capo dubitava che lei avesse il quid per guidare il partito), abbiamo condotto sacrosante battaglie contro il trasformismo che oggi non ci meravigliamo più di tanto se proprio un politico che aveva l’ambizione di rifondare il centrodestra affossa quel che c’è rimasto della destra per tenersi soltanto il centro (o centrino) dimenticando che la forza di quella coalizione, sia pure per poco, consisteva nella convivenza di varie anime tenute insieme da una visione da tutti condivisa della centralità della persona e della priorità della nazione come “bene comune” da tutelare ad ogni costo ed in ogni occasione.

Non mi pare che ci si dividesse su questi principi. Poi non so che cosa sia successo. Devo essermi perso qualcosa. L’ho lasciata insieme con leghisti, post-missini, democristiani, socialisti e qualche liberale, la ritrovo oggi sulle pagine di un giornale come ideologo di non so bene che cosa. Posso darle un consiglio, rispettosamente? Chieda al nostro vecchio e comune amico Antonio Martino quanto c’era di protezionistico in tanti liberali di sua conoscenza e se quella liretta che le fa venire l’orticaria era davvero il simbolo di un sistema illiberale.