Il linguaggio politico di Giovanni Gentile

di Luigi Iannone
6 Maggio 2017

La pubblicistica su Giovanni Gentile è variegata e tortuosa ma basta fare un giro in libreria o navigare per qualche minuto in internet e qualsiasi palato culturale potrà essere soddisfatto. Ogni aspetto della sua vicenda umana, politica e di studioso è stata sviscerata come poche altre visto che la sua adesione al fascismo e, soprattutto, lo spessore della sua filosofia lo pongono di diritto al centro del dibattito culturale, recente e attuale.

Da poco è stato tuttavia pubblicato un volume di difficile catalogazione nonostante la chiarezza del titolo, Giovanni Gentile. Al di là di destra e sinistra (p. 463). Un lavoro che amplia in maniera consistente una tesi di dottorato la quale attraverso la riproposizione e il riesame dei resoconti degli interventi oratori in qualità di politico ma soprattutto di amministratore fa emergere un lato del tutto nuovo del filosofo. Discorsi ‘alti’ ma anche semplici interventi in Aula per dirimere questioni amministrative che parrebbero ai più di basso profilo.

L’autore, Vito de Luca e l’editore Solfanelli si sono spinti in un’avventura insolita ma affascinante. Una ricerca che è all’unisono storiografica e filosofica, con dettagli del tutto inediti grazie a ricerche effettuate prevalentemente sui verbali dell’Archivio Storico Capitolino. E perciò il titolo è premessa per un sottotitolo che specifica ancor meglio l’indirizzo di questo lavoro: Il linguaggio politico del filosofo, dell’assessore e del ministro.

Scoprire infatti, attraverso i discorsi, in maniera più o meno indiretta, il suo approccio teoretico, ma soprattutto il suo immergersi nei problemi della quotidianità politico-amministrativa è esaltante ma allo stesso tempo spiazzante. L’intento di Vito de Luca è quello di mostrare quanto nell’esposizione filosofica che nella prassi politica, e ancor più in quella amministrativa, Giovanni Gentile si muovesse su un filone dai chiari contorni liberali (e non liberisti) avulsi dalle classiche categorie di destra e di sinistra. Leggere pertanto i suoi discorsi significa fare una carrellata veloce sul pensiero filosofico occidentale per via di una complessità di riverberi che solo un peso massimo come Gentile è in grado di cavalcare e, soprattutto, concentrarsi ancora una volta nelle polemiche e nelle contraddizioni del dibattito pubblico del primo novecento.

Ma qui l’interesse riteniamo sia un altro. Appurate tutte le riflessioni e le analisi minuziose sulle coordinate filosofiche, ciò che risalta come vera e propria raffinatezza sono questi documenti che attengono alla sua funzione di Consigliere comunale e Assessore supplente al Municipio di Roma (1920-1922) e poi di Ministro e Senatore del Regno (sempre nello stesso periodo). Un lavoro certosino con ‘resoconti’ tratti dai verbali della Giunta comunale. Documenti che parrebbero di poco conto e solluchero solo per accademici, bibliofili o studiosi di nicchia mentre, in realtà, l’agire filosofico di Gentile si coniuga perfettamente con le cose che scrive e pronuncia in aula. Un Gentile che apparentemente si sdoppia ma che non tradisce le sue intime convinzioni: <<Il linguaggio politico di Gentile – scrive de Luca – è da ascrivere ad un linguaggio che nomina lo Stato, è quel linguaggio che spiega lo Stato, che parla dello Stato, e che definisce l’essenza dello Stato>>. Ed è un linguaggio prima di tutto scevro da retorica. O almeno non ridondante quanto ne richiedeva quel particolare e specifico periodo della nostra storia nazionale.

Il volume ripercorre così le convinzioni del filosofo sul suffragio universale, sulla contrapposizione tra individuo e comunità, sulla dimensione teoretica dell’attualismo. Saltano agli occhi i discorsi fatti quando affronta quello che può essere definito un impegno ‘minore’, vale a dire il suo ruolo di amministratore al Comune di Roma. Difficile immaginarsi Giovanni Gentile seduto nei banchi del consiglio comunale a dimenarsi tra delibere, approvazioni, critiche. Eppure, dalle ragioni teoretiche all’impegno nella politica quotidiana il passo è breve dato che, anche se solo si resta ai discorsi ufficiali per celebrazioni di routine e commemorazioni, ci inerpichiamo pian piano nella strutturazione di un pensiero che non si tradisce. Infatti, le occasioni per decrittarlo sono tante. Ma basterebbero – appunto – anche le ordinarie commemorazioni sul Risorgimento, su Mazzini, sul Metodo Montessori, sulla beneficenza, sull’erezione di un busto al Pincio rappresentante Cecco d’Ascoli; ma anche semplici Delibere, come quella sulla proposta di concessione del permesso <<di porre una corona di ferro battuto ai piedi del monumento a Giordano Bruno donata dalla Massoneria di rito scozzese con sede in Piazza del Gesù>>. Tutti eventi che ci aprono un mondo di interpretazioni e aiutano a disegnare i contorni di un Gentile poco conosciuto dal grande pubblico e che, nelle sue linee di indirizzo generale, sembra seguire talune chiare coordinate in futuro decisive per la sua stessa vita.