Navalny, il martire che fa comodo agli anti-Putin d’Europa

di Redazione
28 Marzo 2017

Una regola base di un buon giornalismo consiste nel dare le notizie in modo completo, affinché il lettore/telespettatore possa farsi un’idea tutta sua di un dato evento: con il caso Navalny ciò non è avvenuto. Da domenica stampa, TV e siti web ripetono ad ogni edizione che il blogger russo, avversario di Vladimir Putin e “attivista per i diritti umani” (locuzione così inflazionata ultimamente da aver svilito i nobili intenti di tante battaglie) è finito in manette assieme ad altre centinaia di suoi seguaci per aver indetto una manifestazione contro la corruzione dilagante in Russia. Ora, la notizia di un oppositore che va in carcere per aver protestato contro il Potere genera senza dubbio sdegno in chiunque, incluso in chi scrive: solo che quella notizia è stata mutilata di alcuni particolari, che forse avrebbero potuto darle un connotato leggermente differente.

Ad esempio, ci si è dimenticati di aggiungere che le autorità municipali di Mosca, dopo aver negato a Navalny l’utilizzo della centralissima Piazza Puškin, si erano dette disponibili ad autorizzare la manifestazione in due piazze in alternativa a quella dedicata al grande poeta russo. Secondo quanto dichiarato dai portavoce delle autorità moscovite, l’offerta di spostare l’evento in altro luogo però è stata rigettata dallo stesso Navalny. Perché? Anche se può sembrare assurdo, il sospetto è che il blogger avesse messo in conto di farsi arrestare in favor di telecamera, così da suscitare una consistente eco mediatica, soprattutto all’estero. Dove, più che del suo programma politico, di lui si parla per le sue vicissitudini giudiziarie e soprattutto per i suoi numerosi arresti, che talvolta si è volutamente andato a cercare: come quando evase di proposito dai domiciliari per partecipare ad una manifestazione in suo favore, e si fece quindi ritrarre in manette a denunciare le politiche liberticide del Cremlino davanti agli inviati dei media europei ed americani. Ma sarebbe un’offesa alla sua intelligenza machiavellica ricondurre queste sue azioni ad una semplice disobbedienza civile.

Navalnyj agisce soprattutto in chiave internazionale. E quello che è accaduto domenica va letto in quest’ottica. In una fase storica in cui in Occidente sempre più voci chiedono una distensione nei rapporti con la Russia, serviva qualcosa in grado di invertire la tendenza presso l’opinione pubblica, soprattutto quella europea. E cosa c’è di meglio che sottolineare il volto autoritario e antidemocratico di Vladimir Putin? In Francia Marine Le Pen e François Fillon raccolgono consensi parlando di un reset nelle relazioni con Mosca, nel resto dell’Ue (Italia inclusa) assistiamo all’ascesa di partiti e movimenti che danno voce ai tanti che non si riconoscono nelle sanzioni imposte a Mosca per la crisi ucraina e ne chiedono la revoca: una crescente corrente di pensiero che preoccupa non poco i fautori della linea dura con la Russia, al di qua e al di là dell’Atlantico. Ma quelle immagini di poliziotti che fermano i dimostranti russi sembrano trasmesse ad hoc per suonare quasi come un monito ai cittadini dell’Ue che nei prossimi dodici mesi si recheranno alle urne: “Mica davvero vorrete riconciliarvi con un autocrate che arresta i dissidenti?”.

Se dunque l’obiettivo di questa azione di Navalnyj era inviare un messaggio che ponesse Vladimir Putin in cattiva luce dinanzi alla comunità internazionale, possiamo dire che in parte c’è riuscito, considerato lo spazio che i media stanno dedicando al suo arresto. Tuttavia, viste le reazioni indignate da Washington e soprattutto da Bruxelles, resta da capire se si sia trattata di una sua iniziativa personale o se stavolta, nell’era dei “condizionamenti elettorali” veri o presunti, abbia agito su esplicita indicazione di qualcuno interessato a condizionare il voto dei cittadini europei in vista delle prossime scadenze elettorali.

Alessandro Ronga