Matteotti, la verità non detta

di Luigi Iannone
13 Maggio 2017

Quando riviste, libri, giornali affrontano temi che tendono a smontare la mitologia storiografica che ci è stata consegnata dalla fine della Seconda guerra mondiale le reazioni possono essere due: la totale assenza di dibattito quasi per scongiurarne il fatto che se ne parli, oppure il solito vespaio di polemiche con vecchi e nuovi tromboni pronti ad utilizzare ogni strumento dialettico e politico per rintuzzare la pubblicazioni di nuovi documenti e perciò di rinnovate verità.

E questo volta il campo da gioco è pericolosissimo. Attiene sia alle risultanze della ricerca storica sedimentate nel corso di questi decenni che al sentimento ‘resistenziale’ che nel nostro paese tutto copre.

Lo spunto ci viene fornito da Storia in rete, la rivista diretta da Fabio Andriola, che si muove di consueto proprio in quell’oceano di storiografia piatta e monolitica che non ammette di essere confutata nei suoi punti nevralgici. E l’occasione è fornita dall’ultimo libro di Enrico Tiozzo, docente di Letteratura italiana all’università di Göteborg, il quale ha pubblicato, grazie alla Bastogi editore, un volume dal titolo Matteotti senza aureola. Il Delitto (pp. 604).

Storia in rete dedica a questo lavoro molto ben documentato la copertina e soprattutto una lunga intervista all’autore.

La tesi di Tiozzo è chiara: Matteotti fu vittima di un’aggressione finita male. Non vi furono scandali finanziari da coprire, non fu delitto di Stato e quella morte non fu mille altre cose. Gerarchi del Partito fascista avevano inviato gli squadristi per ‘dare una lezione’ a Matteotti ma l’aggressione finì male. Al contrario, fu la fragile struttura fisica del deputato socialista a non reggere la violenta colluttazione. Il tutto, senza che Mussolini sapesse nulla.

Come ha sottolineato Andriola, il fatto eclatante, e per certi aspetti del tutto nuovo rispetto al passato, riguarda la totale assenza di dibattito, la volontà di scongiurare una discussione pubblico sul tema. Eppure, non sono tesi che intaccano aspetti secondari della vicenda, anzi, vanno in fondo toccando il nocciolo centrale di quell’aggressione e di quell’omicidio e soprattutto confutando verità precostituite. Oltretutto, Tiozzo non è nuovo a simili pubblicazioni. La sua attività di ricerca prosegue da anni dato che questo volume rappresenta la seconda parte di un lavoro iniziato con la pubblicazione di un primo tomo su Matteotti con la casa editrice Aracne. Entrambi con prefazioni firmate da Aldo A. Mola, di cui brevi passaggi vengono riportati in Storia in rete.

Dunque, per anni sarebbe passata una ‘non verità’ mentre questi due volumi, scrive Andriola, sarebbero  <<capaci di sostenere tesi urticanti come quella che vuole Giacomo Matteotti come un politico avventuroso più che coraggioso, avventato più che smaliziato, polemico più che documentato e, cosa ancora più scandalosa, vittima casuale e non vittima predestinata. Insomma, un omicidio premeditato derubricato ad omicidio preterintenzionale>>. Ma soprattutto è Tiozzo a calcare la mano smontando la santificazione postuma di Matteotti che «era sicuramente un uomo coraggioso fino alla spavalderia. Non era però esente da difetti, come tutti, e non era un santo. Praticava le raccomandazioni, accumulava le cariche, era attaccato al denaro, era vanitoso e così via. Come politico veniva usato dal suo partito come ariete, perché era sempre pronto ad aggredire il governo. Pochi sanno che attaccò molto più duramente i governi a guida liberale che quello a guida fascista. Le sue proposte alla Camera erano sconcertanti. Diminuire il numero delle Università, trasferire le eredità allo Stato anziché all’erede, vietare il voto alle donne, smobilitare l’esercito e la polizia, favorire il consumo di tabacco, e via di questo passo. Nessuno storico ne ha mai parlato».

L’ampiezza del testo consente a Tiozzo di dispiegare le sue documentate analisi con un procedimento rigoroso e circostanziato. Innanzitutto smontando la tesi degli scandali finanziari che Matteotti – si diceva – stava per scoperchiare, e che quindi avrebbero messo in cattiva luce il governo Mussolini. Vicende poche chiare ve ne erano nel Regime legate a collusioni e accordi poco limpidi con potentati vari ma in tutto questo ‘l’affaire’ Matteotti è avulso. Poi Tiozzo procede in maniera cronologicamente puntigliosa descrivendo le ore precedenti l’aggressione, l’uscita di casa di Matteotti, la tesi dell’omicidio preterintenzionale invece di quello premeditato sostenuto dal fatto non secondario che nessuno degli aggressori aveva un alibi, <<non avevano predisposto nulla per sbarazzarsi del cadavere. Nessuno degli aggressori aveva preparato in qualche modo una sua fuga. Non ci si curò del fatto che all’aggressione, avvenuta in pieno giorno, assistessero ben otto testimoni oculari. Si usò un’automobile con una grande e visibilissima targa che riconduceva immediatamente a Filippo Filippelli, amico di Dùmini (Amerigo Dùmini, considerato il capo della ‘squadraccia’, ndr) e personalità in vista del Fascismo. E si potrebbe continuare a lungo>>.

Una molte enorme di documenti e soprattutto una serie di tesi precostituite che vengono smontate una ad una. Eppure dopo settimane dalla pubblicazione del volume continua a regnare il silenzio della consorteria degli storici e dei politici. Molto probabilmente, tornando a quanto abbiamo detto all’inizio, Tiozzo ha ragione quando asserisce che proprio questa assenza di polemiche dimostrerebbe che la versione tradizionale, da lui smentita punto per punto, non vale più, <<anche se è difficile riconoscerlo apertamente da parte di chi per decenni ha sostenuto il contrario>>.