In Qatar la carne di maiale è vietata, ma gli emiri comprano chi la produce

di admin
7 Giugno 2017

L’emiro del Qatar Al Thani, ghettizzato da Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Bahrein con le accuse di “appoggiare il terrorismo”, in particolare i Fratelli musulmani, diffondendone l’ideologia attraverso la rete satellitare Al Jazeera, nel corso degli anni è diventato proprietario di mezzo Occidente. Il piano, inaugurato a inizio millennio, è semplice: assicurarsi un predominio finanziario in settori diversi dalle energie fossili da poter sfruttare quando il petrolio sarà finito. Diversificare, in pratica. Così, tra resort in Sardegna, Hotel di lusso a Milano, marchi d’alta moda, grattacieli, assicurazioni e grandi magazzini, Al Thani ha colonizzato il mondo Occidentale, continuando però a fagocitare quell’ideologia integralista che ha proprio nell’Occidente il suo peggior nemico. Detto ciò, delle ipocrisie di altre monarchie a loro volta implicate nel sostegno finanziario ad Al Qaeda prima e Isis poi (vedi Arabia Saudita e Bahrein) ma pronte a puntare il dito contro i qatariori ne abbiamo parlato altrove. Quello che non è invece stato ancora sottolineato abbastanza è che Al Thani, tra un affare e un altro, deve aver perso di vista qualche dettaglio. Com’è noto, infatti, il consumo di carne di maiale per i musulmani è “haram”, proibita dal Corano, che considera il suino come impuro, immondo. Alcuni Paesi mediorientali come l’Iran, l’Arabia Saudita e lo stesso Qatar vietano la produzione, le importazioni, la vendita di carne suina. Ma attenzione al colpo di scena: il fondo sovrano del Qatar (Qia) la carne di maiale la produce e la vende pure, tramite la proprietà del 28,4% di Inalca.

Attenzione, perché il gioco di prestigio non è semplice da assimilare. Allora: Inalca è una società del gruppo Cremonini che lavora e commercializza carni bovine. È, per la verità, leader assoluto in Italia e uno dei maggiori player europei nel settore, detiene pure la leadership in Italia nella produzione di hamburger ed è il più grande produttore italiano di carni in scatola. Nel 2016 il settore produzione del Gruppo (che ha anche un settore dedicato alla distribuzione e uno alla ristorazione) ha realizzato ricavi totali per 1.760,7 milioni di euro. Il 92% di questo giro d’affari (parziale, perché quello totale comprensivo di distribuzione e ristorazione supera i 3 miliardi di euro) è rappresentato dalla produzione di carni bovine di ogni parte del mondo, ma quel “misero” 8% che avanza, quantificabile in circa 150 milioni, è relativo alla produzione di snack e salumi. Tramite la controllata Italia Alimentari (nata dalla fusione di Montana Alimentari e Ibis), Inalca è infatti leader italiano anche in questo settore, rappresentato sul sito internet da un simpatico maialino.

Nel novembre del 2014 il gruppo Cremonini decide di vendere il 28% di Inalca a Iq Made in Italy Investment Company, che entra in società con un investimento di circa 165 milioni di euro. Qui c’è da fare un passo indietro e tornare al marzo 2013, quando il Fondo Strategico Italiano, un fondo controllato all’80% da Cassa Depositi e Prestiti e al 20% dalla Banca d’Italia ideato per investire nei settori strategici del Made in Italy, dà vita a una società comune con Qatar Holding, il fondo sovrano dell’emirato arabo. La società viene battezzata proprio IQ Made in Italy Investment Company e i due soci si impegnano a dotarla di mezzi finanziari per 300 milioni subito e per due miliardi nel giro di quattro anni, destinati a investimenti nei settori del cibo, della moda, del design e del lusso. Il 28,5 per cento di Inalca è il primo pacchetto che viene acquistato dalla società.

Il Fondo Strategico Italiano (che ora si chiama Cdp Equity) ha poi creato Fsi Investimenti, joint venture con un altro fondo mediorientale, quello del Kuwait, che gestirà le società già in portafoglio da portare in Borsa e cioè: Valvitalia, Rocco Forte Hotels, Kedrion, Trevi e la stessa Inalca.

Può sembrare un po’ bizzarro associare il Made in Italy, nelle sue componenti più di lusso, alle carni macellate a livello industriale, ma mai strano quanto la partecipazione di uno stato islamico che strizza l’occhio agli integralisti nella produzione di carni di maiale, seppure quantificabili in una percentuale ridotta rispetto al giro d’affari complessivo. Ma, dacché il Corano parla chiaro, anche comprare una società che produca mezzo chilo di salsicce l’anno dovrebbe essere strettamente proibito.