Gli scioperi del long weekend del XXI secolo

di Redazione
14 Novembre 2017

Dunque, il 10 novembre c’è stato l’ennesimo sciopero. Di venerdì. La premessa dell’ovvio ad ogni considerazione nel merito è l’inesistenza del cosiddetto “mondo” della Scuola in sciopero, ancora categorizzato nel 2017; esiste, invece, un docente alla volta che con la sua testa decide ed opera delle scelte. I docenti fuori dal “mondo” esistono, ma quasi non hanno voce e spendono gran parte del tempo a giustificarsi con i colleghi più “movimentati” e, di massima, non molto tolleranti rispetto al loro “sciopero bianco”.

A quel docente differente non piace la 107, semplicemente perché è una non-riforma; è l’ennesima occasione persa di una Scuola Libera, declinata in voucher o costo standard che sia. La ” Buona” scuola non è condivisa, ma per motivi totalmente diversi da quelli dei sindacati riuniti che la vorrebbero più statale (come se fosse possibile!). La meritocrazia e l’Alternanza Scuola-Lavoro, per dirne due degne di nota- sono appena malamente abbozzate e la Scuola, giammai libera.

Il portavoce Cobas dichiara, infatti: «Dobbiamo impedire che la legge 107 venga ‘immortalata’ nel nuovo contratto, chiudendo definitivamente docenti ed ATA nella ‘gabbia’ della scuola aziendalistica, che fa dilagare una grottesca alternanza scuola-lavoro, forma sfacciata di addestramento al lavoro gratuito o sottopagato, diseducativa e sottraente centinaia di ore di scolarità». Che aggiungere? Se queste sono le motivazioni ufficiali, direi che non sono quelle da buttar giù dalla famosa torre, preferendo tutto l’armamentario contro le Libertà. Per le motivazioni generali, non credo siano utili ulteriori considerazioni: per protestare contro le politiche economiche e sociali del Governo italiano e dell’Unione Europea; per affermare il diritto al salario, al reddito, alla pensione, per i rinnovi contrattuali, per il rilancio dell’occupazione e la cancellazione della precarietà nonché contro le privatizzazioni e per la nazionalizzazione delle aziende strategiche per il Paese. Forse basterà dare qualche numero, per esempio Il bilancio di previsione dell’Inps per il 2017, che sindacati e governo troverebbero interessante leggere.

Lo sciopero è uno strumento di rivendicazione del tutto arcaico e obsoleto: le agitazioni proletarie sono finite e l’intossicazione ideologica del ‘68 è alle spalle. Da forma eccezionale di protesta libera, si è trasformata in una contestazione anacronistica e inefficace; un metodo antiquato ed oggi totalmente inutile, nessun disagio, anzi lo stato risparmia buoni euro a docente e lo studente non si straccia le vesti. Ci sarà pur un modo per farsi sentire che non sia il semplice non recarsi a lavoro! La parola d’ordine è quella di sempre, la “negoziazione”: non quella usata nel contesto contrattuale generale di categoria o nell’Integrativa, ma – riportando una citazione di Ichino – «la negoziazione delle condizioni di lavoro deve basarsi sulla ‘madre di tutte le sanzioni’ di cui i lavoratori dispongono: la minaccia di porre la loro professionalità al servizio d’altri. Usare il mercato minacciando non lo sciopero, che distrugge ricchezza e fa danno anche agli scioperanti stessi, ma il passaggio presso un imprenditore diverso. Nell’economia globale ciò è a portata di mano, quando c’è un sindacato che sa fare il suo mestiere».

La conseguenza di questa lampante considerazione è che lo sciopero nella scuola non ha senso, se di fatto il monopolio dell’Istruzione pubblica è statale. Il docente differente, quello reazionario della libertà, farà sciopero per difendere le libertà educativa contro il pacchetto ideologico del Progressismo di stato che si fa scudo con la scuola Unica. Per il momento è in sciopero bianco permanente. Resiste, come può e come sa.