La pericolosa radicalizzazione della Turchia di Erdogan

di Fabio S. P. Iacono
22 Marzo 2017

La maschera di Recep Tayyip Erdogan è caduta per sempre. Il dodicesimo Presidente della Repubblica della Turchia ha definitivamente tracciato un solco invalicabile nei confronti d’Europa e dell’intera sfera occidentale. Qui si tratta dei principi costituzionali politici, economici e culturali che hanno dato il via alla ricostruzione del vecchio continente in lutto per i milioni di cadaveri del secondo conflitto mondiale. Osservando con sguardo freddo il tentativo di colpo di stato effettuato recentemente da un manipolo di sfortunati militari, colpevoli solo di aver provato a riportare Ankara all’interno del suo alveo tradizionale, ovvero quello tracciato da Mustafa Kemal in seguito al Trattato di Losanna (1923) ratificato dopo il crollo dell’impero ottomano, che si era schierato con gli imperi centrali, ha dimostrato ai nostri occhi il profondo malessere interno all’esercito custode indiretto sino ad oggi di una esegesi non letterale o teocratica della forma religiosa islamica, i turchi non sono arabi, un malessere represso violentemente da Erdogan e dal suo primo ministro Binmali Yldirim. Così la Turchia si è definitivamente fermata presso l’anticamera dell’Unione Europea. E’ singolare notare come l’evidente frantumazione insita nel vecchio continente, dall’avvio della procedura d’uscita del Regno Unito alle nazioni che mantengono le monete nazionali, dall’egemonia politica ed economica tedesca alla risposta politica e militare francese, dalle ex potenze oggi arrancanti quali Spagna ed Italia sino alle matricole balcaniche e mediterranee, registra ugualmente generali ed unitari elementi di civiltà. Quando si pensa all’Europa la nostra mente vola immediatamente compatta dalla Svezia a Malta, e subito dal Portogallo alla Romania. Mondo antico, medievale, moderno e contemporaneo. Filologia germanica, romanza e lingue slave. L’Anatolia quasi 784 mila chilometri quadrati di superfice con circa settantanove milioni di abitanti è ancora oggi una potenza regionale asiatica, una “portaerei” naturale affacciata sull’Europa. Questa posizione le ha consentito di ottenere un seggio presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite dal 1945 ed è sino ad oggi un capriccioso ma storico componente della NATO-OTAN. Grazie ai suoi quasi venticinquemila chilometri quadrati di territorio europeo (Tracia) la Turchia da tempo gioca anche le competizioni sportive più popolari europee, mentre Israele vi è ugualmente inserito non per contiguità territoriale, ma per contiguità “giudaico-cristiana”.

Con quanto scritto sopra intendiamo dimostrare come, la Turchia pur essendo formalmente uno stato laico e senza una religione di Stato, la Costituzione Turca prevede la libertà di religione e di coscienza, la sua manifestazione odierna spiccatamente reazionaria evidenzia marcate influenze istituzionali nel senso della devozione islamica sino alla reticenza se non a tratti alla vera e propria complicità con formazioni islamiste tendenti all’istituto del neo califfato (il nemico del mio nemico è mio amico) nelle aree vicine e confinanti, ovvero le ex analoghe potenze regionali quali la Siria e l’Iraq. Una ulteriore conferma del nostro scritto è la grave intromissione di Erdogan nelle consultazioni elettorali in corso. Prima in Olanda, con la ferma posizione di stop elettoralistico a membri governativi extracomunitari in “tour” nei paesi bassi, che è valsa la riconferma liberale alla guida del governo de l’Aia, nonché la sensibile avanzata del partito di Geert Wilders in organico all’ENL, Erdogan ha accusato la cancelliera tedesca Angela Merkel di ricorrere a “metodi nazisti”, in riferimento al divieto di tenere in Germania, per il referendum costituzionale del prossimo 16 aprile, comizi a favore del “sì”. Secondo Berlino il Presidente turco avrebbe “passato il limite”. Il ministro degli Esteri danese ha convocato l’ambasciatore turco a causa di alcune minacce che sarebbero state rivolte ad alcuni cittadini turco-danesi che rischiano l’accusa di alto tradimento. Erdogan non ha digerito la recente fermezza di Rutte dichiarando che “l’Olanda pagherà il prezzo del suo comportamento vergognoso”. Su questa stessa linea le parole del premier Yildirim, che ha annunciato “forti contromisure” nei confronti dei Paesi Bassi. Come la presentazione di due lettere di protesta formale contro il trattamento riservato ai suoi ministri e contro l’uso “sproporzionato” della forza nei confronti dei manifestanti turchi e l’interruzione dei rapporti diplomatici. Abbiamo oramai sufficientemente evidenziato che la Turchia, aggiungiamo anche le gravi amnesie in merito ai genocidi e alle deportazioni delle popolazioni curde ed armene, non ha i requisiti d’amicizia e di alleanza “atlantiche” nei nostri confronti. Si tratta di un residuale “comodato d’uso” Nato-Otan implicito alla guerra fredda. Se tra medioevo ed epoca moderna la cristianità avesse tutelato l’impero bizantino con il suo grande bagaglio di cultura e civiltà greca e romana, oggi questo equivoco turco non si sarebbe certo manifestato. L’Europa si attarda oggi tra la burocrazia di Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo, quando dovrebbe essere una manifestazione fenomenica non multiculturale ma greca, romana, celta, franca, germanica, vichinga e slava, multietnica nel senso di apertura dell’immigrazione (esempi da seguire: Canada, Australia e Nuova Zelanda) non originaria e centellinata a chi si dimostra e si dimostrerà in ordine con le nazioni d’ingresso, raccogliendone il testimone millenario.