I voli Roma-New York a 179 euro sono il male: i drammi creati dal turismo low-cost

di admin
1 Giugno 2017

Un mondo globalizzato, iperconnesso, in movimento. Un mondo di viaggiatori e di turisti, di persone in grado di avere alla propria portata qualsiasi meta. Sarà un po’ per le derive collegate al concetto di “quantità” che tutte queste parole, se a inizio millennio sembravano la panacea di tutti i mali di vivere, ora somigliano a un incubo. Milioni e milioni di persone in tutto in mondo, tagliate fuori dalla possibilità logistica, linguistica ed economico-finanziaria di viaggiare, si ritrovano all’improvviso aperte a qualsiasi tipo di esperienza. Specie per via dell’abbassamento drastico della terza componente di selezione.

Ieri Norwegian Air, compagnia norvegese low cost fondata nel 1993 e negli ultimi anni cresciuta rapidamente fino a raggiungere il terzo posto tra le low cost europee, ha annunciato che collegherà Roma Fiumicino con New York e Los Angeles a partire dal 9 novembre 2017 e San Francisco dal 6 febbraio 2018. Da ieri sono in vendita, sul sito della compagnia 115mila biglietti. Il prezzo è sorprendente: 179,9 a tratta (solo andata, cioè) per i quattro voli settimanali Roma-New York (Newark) mentre per i due voli settimanali verso Los Angeles il prezzo sale a 199. I voli saranno operati con due fiammanti Boeing 787 Dreamliner , che saranno basati a Fiumicino, configurati 291 posti, di cui 32 in classe business e 259 in economy.

Tutti in America, allora. Basta mettere da parte 50 euro al mese e il gioco è fatto. I problemi, però, sono solo all’inizio. Una miriade di persone assolutamente ineducate al turismo, senza una preparazione linguistica e culturale e con un senso civico che già dentro i confini nazionali rasenta la volgarità, potrà così catapultarsi ovunque, ed esportare il “buon costume”. Scene come quelle viste a Roma e Firenze, con i sindaci costretti ad ideare norme anti bivacco nei pressi dei monumenti storici, le vedremo sempre più spesso anche in altre parti del mondo. Come ci si arriverà poi? Sbandierando questa nuova rivoluzione logistica e dando così la possibilità a chiunque di potersi fare un selfie sul Rockefeller Center o sentirsi divo di Hollywood per qualche ora, le compagnie aeree sottopongono i viaggiatori a una mezza tortura: 10 ore di volo (quelli diretti sono pochissimi, gli altri, con due scali, arrivano alle 22 ore complessive) in un 787 Dreamliner, bimotore, che da sogno ha ben poco. I posti a sedere “base” sarebbero 280, ma per inserire più sedute possibili ne vengono aggiunti una decina con i 32 in business più spaziosi degli altri. Dunque, rassegnatevi, si sta stretti. Molto.

Il “Dreamliner”, poi, può essere considerato di diritto l’aereo più sfigato della storia. A sei anni dal suo primo decollo, avvenuto già in ritardo di almeno due anni per malfunzionamenti tecnici, ha riscosso un successo commerciale notevole proprio per via della versatilità e praticità, in grado di “pensionare” il gigante A380 di Airbus, la concorrente della Boeing. Il 787 però negli ultimi anni ne ha viste e vissute di tutti i colori: ghiaccio nei motori, principi d’incendio in stiva, ali difettose, rivetti ballerini e software capricciosi che hanno trasformato il modello di punta di Seattle in una barzelletta volante. Ora le vendite tirano, per carità, con 393 velivoli già consegnati e 62 compagnie che ne hanno ordinati altri 1.139, convinte che il jet di plastica di Seattle sia il futuro proprio delle tratte veloci a lungo raggio. Staremo a vedere.

Ultimo punto, non meno importante, le condizioni di lavoro. Nel mondo moderno siamo ormai abituati a richiedere, anzi pretendere, i servizi migliori al minor prezzo possibile, e chissenefrega se quel plus-valore lo pagherà qualcun altro. Si pensi alle spedizioni in meno di 24h di Amazon, in grado di sbaragliare la concorrenza e abituare un acquirente ad avere tutto e subito. E gratis. Peccato però che ai lavoratori già sottopagati degli hub vengano cronometrate persino le soste in bagno, visto che ogni secondo diventa fondamentale per soddisfare il cliente. O si pensi ai pochi euro l’ora riconosciuti ai ragazzi che consegnano la cena a domicilio (con mezzi loro). O, per restare in tema di aviazione, si pensi al personale di volo delle compagnie low cost. L’iniziativa commerciale di Norwegian fu inizialmente pensata in joint-venture con, udite udite, Ryanair, il bus dei cieli. In pratica gli irlandesi avrebbero dovuto gestire la prima parte del viaggio, dagli scali — anche secondari — d’Europa verso i grandi hub (come Londra e Parigi). I norvegesi, grazie ai 787 Dreamliner, avrebbero gestito la seconda fase, verso il suolo statunitense. Ci fu persino la possibilità di una collaborazione con Alitalia. Solo che da Roma, sempre previdenti, risposero picche. Comunque il piano di Ryanar era addirittura quello di portare i viaggiatori oltreoceano a 100 euro a tratta, ma i norvegesi hanno almeno in questo avuto il buon senso di riconoscere la scarsa fattibilità, e hanno da subito pensato le tratte dirette (collaborazioni come quella citata non sono tuttavia per nulla escluse).

Ryanair è quella compagnia che seleziona il suo personale di bordo facendogli pagare… la divisa! Sì, la divisa, 30 euro al mese scalati dalla busta paga, e pure i corsi di formazione (2.649 euro se paghi prima dell’inizio e tutto in un colpo; 3.249 se decidi di farti scalare il costo dallo stipendio). La busta paga, poi, è a sorpresa: si viene pagati un po’ in base all’orario e un po’ a cottimo. Un fisso non esiste; sono retribuite solo le ore di volo; si percepisce il 10% su ogni prodotto venduto. Il contratto è registrato in Irlanda o UK. Si hanno delle agevolazioni sui viaggi in aereo. Il salario mensile dovrebbe oscillare tra 900 e 1.400 euro lordi, in base al luogo di ricollocamento. Quando non si lavora non si ricevono soldi. Non si parla di tredicesima e/o quattordicesima, ma di bonus, che si ricevono solo il primo anno. 300 euro il primo mese di lavoro, altrettanti il secondo, il doppio il sesto. Chi va via prima della conclusione dei primi 12 mesi, però, deve restituire questi bonus.

Il principio del low cost crea dei circoli viziosi: il servizio a basso costo, di scarsa qualità, crea delle condizioni di lavoro di scarsa qualità, apre le porte a un turismo inconsapevole, e quindi di scarsa qualità, e non fa girare per nulla i capitali, e dunque l’economia locale. Quel deficit di costo rispetto ai prezzi di mercato lo paga qualcun altro. Sempre. In nome del turismo a zero euro si diventa dunque antropologicamente e sociologicamente disposti ad accettare delle Odissee nei cieli, e a non portare nessun valore aggiunto al Paese di destinazione. Un concetto familiare? Certo, è lo stesso che governa l’immigrazione incontrollata. Solo che, viaggiando con un Dreamliner e non su un barcone, ci sentiamo tutti più borghesi.