E se il centrodestra vincesse le prossime elezioni?

di Lorenzo Castellani
10 Febbraio 2017

Il centrodestra negli ultimi anni ne ha combinate di tutti i colori: divisioni, rimescolamenti, attendismi, rinunce. Soprattuto si è formata una netta divaricazione politica, da un lato Alfano rimasto in maggioranza, Verdini nel mezzo come tessitore del Nazareno e da ultimo un Berlusconi spesso conciliante con il Partito Democratico di Matteo Renzi nei fatti fino al 2015 e, a parole, anche oltre; dall’altro l’estremizzazione della Lega Nord verso l’anti-europeismo, il protezionismo, il sovranismo (con l’accantonamento di federalismo e riformismo fiscale). In mezzo forze minori come Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e Direzione Italia di Raffaele Fitto, sempre all’opposizione, ma maggiormente disponibili ad un confronto aperto con tutti.

Si posso rimettere insieme i cocci? Se guardiamo i sondaggi, nonostante tutto quello che è successo, una coalizione di centrodestra da Alfano a Salvini oscillerebbe da un minimo del 25% ad un potenziale del 35%. Con un buon leader che sintetizzi le differenze e tenga le fila delle varie forze il centrodestra potrebbe addirittura essere la prima forza politica in Italia. Sfruttando da una parte la debolezza del PD post-referendaria e post-governativa e dall’altra le difficoltà dei 5 stelle nel rendersi amministratori credibili e capaci di guidare il Paese. Tuttavia, il processo verso l’unità è molto complesso perché, come recita il detto popolare, ci sono troppi galli nel pollaioe, con una legge proporzionale, diventa molto difficile l’organizzazione di primarie per la scelta del leader. Primo perché l’idea è già flebile ed usata ad intermittenza dalla classe dirigente del centrodestra (ad eccezione di Meloni e Fitto che hanno sempre spinto su questo punto) e secondo perché il rischio è di fare primarie che si risolvano in una serie di divisioni una volta arrivati in Parlamento (specie al Senato, se la legge resta il Consultellum) con una parte del centrodestra che, mossa dalla real politik, sarà spinta a cercare l’accordo con il Partito Democratico ed una parte che tenderà a scivolare sempre di più su posizioni grilline.

Qual è il vero problema? La lista di errori di Berlusconi è lunga, molto. Tuttavia, Berlusconi fa Berlusconi con il suo concentrato d’interessi personali, influenza mediatica e capacità politica. Realisticamente gli altri non possono pensare che sparisca dall’oggi al domani, ma possono organizzarsi per avviare il post-berlusconismo. Dov’è. dunque, il nocciolo della questione? Secondo chi scrive è nella Lega Nord. La Lega del 2017 si divide in due entità: il partito dei sindaci e dei presidenti di regioni, che governano in coalizione con altre forze di centrodestra e (per ora) silenziosamente; la Salvini&Associati che occupa militarmente i salotti televisivi e il mondo dei social. La Salvini&Associati ha portato un partito del 3-4% al 12-13% dei sondaggi odierni, tuttavia da oltre un anno non si schioda da quelle percentuali. Il Segretario della Lega, inoltre, gioca ad intermittenza sulle primarie per massimizzare la propria leadership e, più di una volta, ha strizzato l’occhio all’alleanza o alla cooperazione con i 5 Stelle (su uscita dall’euro, riforma Fornero ecc). Questo significherebbe rompere con il centrodestra moderato e tuffarsi nelle braccia del grillismo. Uno schema che rischia di pagare poco perché fa diventare il centrodestra automaticamente il terzo polocome è successo a Roma. In definitiva la Salvini&Associati rischia di diventare un problema per tutta l’area proprio perché divisiva e, ancor di più, per quei leghisti di governo come Maroni e Zaia i quali avrebbero da un lato le penta-leghismo e dall’altro una coalizione da maneggiare sul territorio. Considerato lo scenario, per Salvini vale davvero la pena rompere come Berlusconi e Co solo per guadagnare qualche deputato in più su scala nazionale e rinunciare per sempre a governare (se non come stampella dei 5 stelle in un governo grillino)? Probabile che nei prossimi mesi qualcuno, dalle regioni del nord, fiuti la situazioni e si adoperi per addomesticare il segretario leghista.

Cosa può succedere? Se la legge resta quella uscita dalla Consulta o una sua variante ma pur sempre proporzionale ci sono due possibili scenari:

a) Prevale la linea Salvini. A questo punto si forma un polo “lepenista” radicalmente anti-establishment, anti-Europeo e incline ad accodarsi, e accordarsi, con il Movimento 5 Stelle. In questo caso il centrodestra, come polo, sarebbe finito. Non esisterebbe più un centrodestra di governo, sfumerebbe l’ipotesi primo partito alle elezioni. Berlusconi (Alfano e Verdini) sarebbe costretto ad allearsi con il Partito Democratico a livello parlamentare per formare un governo di coalizione. Alcuni esperimenti politici, come quello di Raffaele Fitto e Giorgia Meloni, sarebbero fortemente penalizzati da questa polarizzazione. Certo Salvini potrebbe cedere qualcosa ai potenziali alleati concedendo le primarie della destra, ma perché il leader di un partito nettamente più grande degli altri movimenti dovrebbe mettere in discussione se stesso con delle primarie?

b) Nella Lega gli uomini del territorio si muovono in favore di un’ampia coalizionecoadiuvati da gli altri attori del centrodestra non leghista. La linea Salvini viene afflosciata. Viene scelto un candidato premier terzo, né Berlusconi né Salvini, e le probabilità che la coalizione (in lista unica) diventi primo partito aumenta esponenzialmente. Certo il rischio armata brancaleone (senza primarie) esiste così come la possibilità che, in ogni caso, Forza Italia possa cooperare con il PD per formare un governo spaccando l’unità post-elettorale. Tuttavia, la politica è competizione, conta avere le carte in mano ed arrivare primi significa tenere il boccino. La ritrovata unità significherebbe da un lato fornire agli italiani la possibilità di votare per un unico polo di centrodestra invece che per tanti partitini diversi e dall’altro sgonfiare o limitare l’avanzata del 5 Stelle verso Palazzo Chigi. Il Partito Democratico, e ciò che c’è intorno, è oggi molto debole. Nel centrodestra rinunciare a competere per arrivare primi, per correre dietro a Dibattista e Di Maio, significa privarsi di un’opportunità. Certo l’ideale sarebbe una variante di questo schema in cui Berlusconi accetti l’opzione “padre nobile” e si fanno delle primarie per scegliere il leader e misurare i rapporti di forza dentro la coalizione. Tuttavia, ad oggi, sembra lo scenario meno probabile.

Tre poli alla pari, con il centrodestra che ha buone opportunità per arrivare primo e arginare Grillo, o un sostanziale bipolarismo tra Nazareno (PD-FI) e forze di protesta (LN-M5S-Altri)? In questo secondo scenario il vantaggio rischia di finire tutto nelle mani della Casaleggio&Associati con il centrodestra a portare voti al governo Dibattista. Qualcuno, a destra, dovrebbe forse meditare su questo scenario.