Giustizia è fatta? Quasi
17 Giugno 2023

La riforma della giustizia approvata dal Consiglio dei Ministri apre le porte ad una nuova stagione troppo lungamente attesa nel nostro paese, ed è tragicamente simbolico che avvenga dopo la morte di Silvio Berlusconi che dalla giustizia politicizzata è stato perseguitato, questo è un fatto non un’interpretazione, e a quarant’anni da quello che è stato il caso più eclatante di mala giustizia, l’arresto di Enzo Tortora.
I numeri e le statistiche parlano chiaro, e dopo il 1992 lo strapotere giudiziario di una parte ben indirizzata della magistratura ha segnato uno squilibrio evidente nel rapporti fra i poteri dello stato, tanto che ad ammetterlo è stato Massimo D’Alema Intervistato dal Corriere della Sera dopo la scomparsa di Berlusconi. Tangentopoli ha segnato la fine dell’autonomia della politica che da allora si è posta sotto scacco delle inchieste giudiziarie, spesso basate sul nulla, se non su flebili indizi destinati a dissolversi nelle fasi processuali in cui però gli imputati sono esposti come trofei, da magistrati politicizzati e spesso alla spasmodica ricerca della notorietà. Anche questa è una verità che la storia ci ha tragicamente consegnato.
L’uso politico della giustizia non è cosa d’oggi, lo si faceva nell’Atene periclea, lo si è fatto a Roma, e le vittime eccellenti ed innocenti sono innumerevoli. Ma nel nostro paese, in cui tutto assume la sua veste più estrema negli ultimi trent’anni è stata la norma, e tutti i tentativi di porre un freno alla deriva sono stato contrastati con virulenza e inchieste dalla magistratura. E quei magistrati consapevoli delle storture, che poi sono la maggioranza, hanno subito persecuzioni interne, isolamento e non rari procedimenti disciplinari.
Fino alla stagione di “Mani Pulite” , quelle stesse mani che grondano il sangue di innocenti trascinati alla gogna mediatica, esistevano dei limiti, poi sull’onda dell’entusiasmo la politica moribonda e distrutta si è consegnata alla magistratura. Certo di non poco conto è stata la macchina mediatica delle crocifissioni, il consorzio giornalistico che ha lanciato la caccia “all’uomo”, fino a quando non ci si è resi conto che il mostro era troppo potente, e chi ha osato sfidarlo è stato travolto. Va da se che molti -sopratutto a sinistra – ne hanno beneficiato e hanno negato l’evidenza fino al momento in cui sono stati anch’essi vittime della stessa gogna giustizialista e manettara. Ed è fonte di soddisfazione che ad essere artefice di questa riforma è un ministro che proviene dai ranghi della Magistratura, in cui si anche distinto per professionalità e competenza.
Ma la vera battaglia non è solo normativa, quella è imprescindibile certo, ma culturale. Perché nel nostro paese è stata instaurata una cultura del sospetto che genera un sentimento di condanna apodittico e difficilmente cancellabile, e qui non basta la “norma” serve la più sviluppata cultura giuridica e umana. Perché se è vero che le inchieste pilotate e politicizzate e gli ultimi scandali interni alle stesse toghe hanno minato la fiducia dei cittadina nell’organo deputato all’amministrazione delle giustizia – un male per un paese come il nostro – è vero altresì che la cultura del “sospetto” è ben lungi dall’essere dissipata. Le condanne del resto vanno in prima pagina, le assoluzioni se trovano posto, occupano piccoli trafiletti, perché gli innocenti accertati non fanno notizia.
Del resto “la presunzione di innocenza” pur se alla base del nostro ordinamento non è mai andata di moda, e non ci si può meravigliare quando un noto magistrato di Tangentopoli – prima di essere travolto da un’inchiesta – andasse liberamente in televisione a dichiarare: “ non esistono gli innocenti, ma solo persone di cui non si riesce a dimostrare la colpevolezza”, non proprio lo spirito di chi dovrebbe amministrare la giustizia e garantirne l’applicazione.
Alla fine la grande riforma passa dalle coscienze di ciascuno, che prima di puntare il dito contro il malcapitato di turno, dovrebbe chiedersi, “ e se un giorno qualcuno lo puntasse contro di me”, e allora molte cose forse cambierebbero e gli irriducibili sostenitori del giustizialismo annegherebbero nello stesso fango che lanciano di volta in volta contro la vittima designata, mentre i colpevoli spesso ridacchiano nella tranquillità della loro impunita.