Il piano di Theresa May per firmare un accordo di libero scambio con Trump

di Lorenzo Castellani
26 Gennaio 2017

Il primo ministro britannico Theresa May sarà il primo capo di governo ad incontrare il nuovo Presidente americano Donald Trump. In cima alle agende dei due leader c’è l’accordo di libero scambio tra Regno Unito e USA. Il Primo Ministro britannico ha promesso un deal in tempi rapidissimi (quick and dirty), ma sarà davvero così semplice?Considerata la cultura comune dei due Paesi e l’assonanza ideologica tra i due leader, entrambi inquadrabili in una destra conservatrice e sociale, il raggiungimento dell’accordo di libero scambio potrebbe sembrare a portata di mano, ma rischia di non essere così per una serie di motivi.

In un accordo di libero scambio il settore che ne beneficerebbe maggiormente è quello agro-alimentare che però risulta anche quello capace di sollevare maggiori perplessità politiche. I farmers britannici hanno votato la Brexit più per desiderio di protezione economica e recupero della sovranità politica che per spinta libero-scambista. Hanno chiesto, insomma, maggiori garanzie al proprio governo rispetto ai fattori della globalizzazione (immigrazione, concorrenza). Saranno disposti ad accettare un accordo che permetta il libero scambio (cioè l’abbattimento dei dazi e l’uniformità della regolazione) della carne trattata con ormoni della crescita e del pollo al cloro? Saranno disposti i produttori di whiskey in Scozia all’apertura del mercato con i produttori americani? Gli agricoltori sono una lobby potente politicamente e protetta, proprio per la sua influenza politica, tanto negli Stati Uniti quanto nel Regno Unito. Riuscirà un governo che deve gestire la Brexit sia a livello diplomatico che parlamentare a forzare la mano contro gli interessi costituiti di alcune tra le principali categorie produttive dell’economia britannica?

Inoltre un accordo di libero scambio con gli USA potrebbe minare la strategia industriale messa in campo dalla May che prevede un maggiore interventismo dello Stato nell’economia, come nel caso delle sovvenzioni alla Rolls-Royce per lo sviluppo di motori aerei di ultima generazione.

L’operazione “Global Britain” e l’uscita dall’Unione Europea proietta il Regno Unito alla ricerca di nuovi accordi di libero scambio e ciò significa che il primo di questi, cioè l’accordo con gli USA di cui sopra, potrebbe fungere da modello per altri free-trade agreement. Per il governo britannico è dunque importante non cedere troppo agli standards e agli interessi strategici della controparte negoziando frettolosamente un accordo che potrebbe essere il primo ma non l’unico e che rischia di condizionare l’impianto dei successivi accordi.

Da ultimo, le negoziazioni non inizieranno prima del prossimo marzo in quanto il nuovo Department for International Trade deve essere ancora organizzato a livello amministrativo. Inoltre, il NAFTA è stato negoziato in due anni e ce ne sono voluti altri due per l’implementazione il che lascia supporre che nel migliore dei casi si tratterà di un processo di almeno due-tre anni anche l’accordo di libero scambio tra Regno Unito e Stati Uniti. Si tratta, dunque, di un processo politicamente sensibile ed estremamente complesso a livello regolamentare e proprio per quanto sopra detto non sarà affatto facile per la May portare a casa un buon deal nel giro di pochi mesi.

Infine l’epoca del liberalismo a livello internazionale sembra volgere al termine lasciando sempre più spazio ad una governance ibrida multilivello (Stato-Mercato, Democrazie-Autoritarismi) in cui i processi di libero scambio verranno messi fortemente in discussione a causa delle condizioni politiche (il TTIP è fallito, il TTP sospeso) non solo nel rapporto tra Occidente e Asia, ma anche all’interno dell’Occidente stesso. In altre parole, il progetto di unire le democrazie liberali in un grande mercato che tenesse fuori quegli autoritarismi incapaci di accettare gli standard da queste imposti (commerciali e regolamentari) è fallito prima di nascere proprio per la condotta degli attori politici che oggi calcano la scena mondiale. L’impressione è che quello della May possa essere il tentativo, più retorico che reale, di ridurre la pressione della Brexit sul Regno Unito correndo dal nuovo Presidente americano che ha sempre benedetto la rivolta degli elettori britannici all’Unione Europea (e al suo mercato unico). Insomma, non sembrano davvero esserci gli spazi politici per sancire nuovi accordi di libero scambio ma è maturo il tempo per rinsaldare vecchie alleanze e allacciarne di nuove nel nome della nascente governance ibrida. Ed è probabilmente in questo solco che s’inserisce l’azione del Primo Ministro britannico.