Startup, tanto fumo ma poco arrosto: lo Stato sostenga imprese “reali”

di Lorenzo Castellani
31 Gennaio 2017

Delle startup italiane si parla sempre molto, forse troppo. Negli ultimi anni sono nate riviste specializzate, meeting, forum e c’è un’attenzione continua da parte della stampa. Tuttavia al di là di qualche operazione finanziaria, che in genere non supera la qualche decina di milione di euro, dipinta come prodigio mirabolante dai media non è facile comprendere bene la diffusione del fenomeno. Fioccano, certo, giovani dipinti come nuovi Zuckerberg (quanto valgono? non si sa)fenomeni under 30 che vengono infilati nelle classifiche dei top-influencer per aver inventato qualche app. In genere la narrazione mediatica dura quel che deve e l’impatto economico delle nuove imprese tecnologiche non viene messo mai su carta (e a bilancio).

Sul punto c’è uno studio interessante di Confimprenditori, associazione datoriale di piccoli-medi imprenditori, sulle startup (http://www.confimprenditori.it/wp2017/wp-content/uploads/2016/12/Startup.pdf) che utilizza dati e numeri del MISE e di altre fonti accreditate. Ciò che ne esce è una gran confusione nel rapporto tra istituzioni, finanziamenti e nuove imprese. Da un lato c’è il piano Industria 4.0 fortemente voluto dal Ministro Calende che è ancora tutto da definire e che nei prossimi anni erogherà 13 miliardi dalle casse pubbliche per infrastrutture, formazione e finanziamenti alle imprese, dall’altro ci sono i fondi europei e regionali per le nuove imprese. Le Regioni sono pronte ad erogare mezzo miliardo di euro per le startup nei prossimi anni, ma l’analisi dei bandi rivela una confusione terminologica: a volte selettivi ed esclusivamente rivolte allo sviluppo tecnologico, altri genericamente rivolte alle “pmi innovative” o “nuove piccole-medie imprese”, altri ancora rivolti solo ai giovani o alle donne.

Da ultimo ci sono i numeri: le startup rappresentano solo lo 0,38% del milione e mezzo di società di capitali italiane e il loro capitale sociale è pari complessivamente a 328,4 milioni di euro, che corrisponde in media a 55 mila euro a impresa (rapido raffronto: le PMI tradizionali hanno generato ricavi pari a 852 miliardi di euro, un valore aggiunto di 196 miliardi di euro, pari al 12% del PIL). Sotto il profilo occupazionale, le 2.356 startup con dipendenti impiegano a fine marzo 2016 8.193 persone, in media 3,48 dipendenti per ogni impresa, mentre almeno la metà delle startup con dipendenti impiega al massimo due dipendenti.
Complessivamente, le startup innovative hanno registrato una produzione pari a 325,58 milioni di euro nel 2014, tuttavia reddito operativo complessivo è negativo per poco più di 61 milioni di euro. Gli indicatori di redditività ROI e ROE delle startup innovative registrano valori negativi. L’indice di indipendenza finanziaria delle startup innovative è pari a quello fatto registrare dal complesso delle società di capitali (0,36), ma risulta più basso se si considerano soltanto le startup e le società di capitali in utile (0,28 contro 0,36). Per ogni euro di produzione le startup innovative generano in media 15 centesimi di valore aggiunto, un dato più basso di quello delle società di capitali (21 centesimi).

Né il report né questa analisi vogliono essere contro le startup. Anzi, ben vengano e crescano nuove imprese e meglio ancora se a forte impatto tecnologico. Tuttavia si sollevano dubbi sull’efficacia delle policies governative: ha davvero senso riversare tutto questo denaro pubblico su una certa tipologia d’imprese (visti anche i dati e le performances)? Non sarebbe forse più opportuno cercare strategie fiscali che favoriscano la creazione di nuove imprese e lo sviluppo delle esistenti (senza discriminazioni tra varie categorie d’impresa) attraverso una riduzione della tassazione, l’incremento degli investimenti esteri e la riduzione delle pratiche burocratiche? L’impressione è che ci sia una bolla mediatica di professionisti delle startup che vivono di visibilità e, spesso, di finanziamenti e incarichi pubblici dedicati proprio alle nuove imprese. Attenzione perché come recita il proverbio “non è tutto oro quel che luccica” e qui pare che il luccichio, specie nel jet-set romano-milanese fatto di meeting, kermesse, open space ecc, sia molto forte e l’oro ancora poco. Un oro che spesso si nasconde nella laboriosa provincia italiana e che viene dal talento, dalla progettazione, dall’investimento. Senza finanziamento pubblico.