Usa-Israele, cosa cambia con il falco Friedman come nuovo ambasciatore

di Redazione
4 Gennaio 2017

Persino prima di essere nominato ufficialmente presidente degli Stati Uniti dai Grandi elettori, Donald Trump ha voluto dare un primo cambio di marcia alla politica estera americana nominando David Friedman ambasciatore americano in Israele. Adesso è al centro di numerose polemiche non solo da parte degli esponenti dell’opposizione democratica ma anche in Israele poiché, durante la sua prima intervista da ambasciatore in pectore, ha fatto chiaramente intendere la volontà di trasferire l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme.

Dentro questo tentativo è evidente la differenza tra la nuova politica estera di Trump con quella di questi 8 anni di amministrazione targata Obama. Infatti, durante questi due mandati presidenziali, le relazioni tra Usa ed Israele hanno avuto un pesante deterioramento soprattutto dopo le polemiche riguardanti il rinnovo del memorandum of understanding (MoU) relativo al prolungamento degli aiuti militari statunitensi alla Difesa israeliana. A conferma di ciò i principali candidati alle primarie del partito Repubblicano (Trump-Cruz) avevano ampiamente dimostrato una chiara linea pro-Israele nel loro programma politico come proposta nuova nell’ambito della politica estera del paese. Il nodo da sciogliere riguarda principalmente la città di Gerusalemme, la quale non è considerata la capitale effettiva di Israele in ambito internazionale, come sostenuto dalla maggior parte dei membri ONU e dalle principali organizzazioni internazionali. Infatti tutte le ambasciate dei paesi presso Israele si trovano a Tel Aviv, città non lontanissima da Gerusalemme e principale hub economico del paese.

Nonostante tutto, questo cambio di politica estera da parte degli Stati Uniti non è da considerarsi totalmente nuovo e innovativo poiché è solamente l’applicazione del Jerusalem Embassy Act promulgato dalla Camera dei Rappresentanti nel 1995. Esso consiste principalmente nel trasferimento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme in un tempo di 6 mesi dall’entrata in vigore della legge. Però la sua attuazione è sempre stata rimandata da ogni presidenza che si è succeduta dal 1995 ad oggi (Clinton- Bush- Obama) grazie al veto presidenziale che consentiva di rimandare l’entrata in vigore di 6 mesi. Ciò è stato sempre fatto poiché l’attuazione del Jerusalem Embassy Act avrebbe danneggiato i numerosi tentativi di negoziati di pace tra Israele e Palestina. Gerusalemme infatti è una città dall’alto valore simbolico sia per lo stato di Israele sia per la Palestina. Infatti, sebbene allo stato attuale, Israele abbia quasi completamente il controllo della città tuttavia Gerusalemme la comunità internazionale non riconosce l’annessione di Gerusalemme Est, né riconosce Gerusalemme come capitale.

La nomina di David Friedman come nuovo ambasciatore sposta quindi l’ago della bilancia della politica estera radicalmente verso Israele. Egli è stato scelto da Donald Trump non tanto per il suo acume politico, infatti la sua totale inesperienza politica potrebbe causare non pochi danni ai processi di pace, essendo lui un avvocato specializzato in reati bancari, bensì per le sue forti posizioni sulla questione Israelo-Palestinese. Egli infatti, in una intervista al maggior quotidiano israeliano “Haaretz”, ha ribadito le sue posizioni in merito come il supporto riguardo agli insediamenti israeliani in Cisgiordania e la critica verso quegli ebrei liberali, ritenuti “peggio dei Kapò”, poiché sostengono la soluzione dei due stati.

Questa prima mossa da parte del neoeletto presidente Trump è da considerarsi molto audace rispetto all’amministrazione precedente in quanto riabilita Israele come partner fondamentale e cruciale per la stabilità del Medio Oriente. Oltre a ciò, se l’ambasciata venisse veramente trasferita a Gerusalemme, risolverebbe il problema dello status di quest’ultima poiché porterebbe ad una ufficiale conferma da parte di una delle nazioni più influenti al mondo, del fatto che Gerusalemme sia l’effettiva capitale dello Stato di Israele. Dall’altra parte questa mossa potrebbe però portare ad una rivolta sotto la guida dell’Iran da parte di tutte quelle nazioni che non riconoscono lo Stato di Israele. È molto importante sottolineare il fatto che nel 2017 si svolgeranno le elezioni per la nomina del nuovo presidente iraniano e, secondo i più recenti sondaggi, i due maggiori candidati sarebbero in parità, Hassan Rouhani, della fazione più moderata e riformista, e Mahmoud Ahmadinejad, della fazione più conservatrice. Perciò il trasferimento dell’ambasciata darebbe nuova linfa alla fazione più conservatrice potrebbe portarla al trionfo. Per evitare sarà necessario che il pur inesperto Friedman sia consigliati da diplomatici esperti ed accorti per non far precipitare la situazione ed in generale l’area del Medio-oriente in una instabilità a cui abbiamo assistito nei decenni passati.

Giacomo Bertini