Tre firme per fugare ogni dubbio: Donald Trump è e farà il no-global

di Andrea Saponaro
24 Gennaio 2017

“L’ondata di mondializzazione ha annientato la classe media. La mondializzazione non deve necessariamente svolgersi in questo modo, possiamo raddrizzarci in poco tempo.” Era una promessa fatta in campagna elettorale e subito mantenuta una volta eletto presidente. Così Donald Trump è stato di parola e ha firmato il decreto per il ritiro degli States dal Tpp (Trans-Pacific Partnership), un accordo di natura commerciale che prevede il libero scambio tra Usa/Canada e altri 12 paesi del Pacifico, abolendo quasi tutti i dazi doganali e riducendo gli ostacoli non tariffari al commercio. Si tratta tuttavia di una formalità, non essendo l’accordo stato ancora ratificato al Senato, ma è sicuramente un segnale decisivo per l’economia e il commercio americano.

Produrre in Usa e assumere americano, questo è l’obiettivo del presidente Donald Trump che rilancia anche nel suo primo incontro alla Casa Bianca con i leader del business, promettendo inoltre di tagliare del 75% il quadro regolatorio e una riduzione delle tasse per la middle class e per le società dall’attuale 35% al 15%-25%”.

“Tutto quello che dovrete fare è stare qui, non andar via. Non licenziare la vostra gente negli Usa”, ha detto il neo presidente. Trump, infatti, ha promesso vantaggi per le società che produrranno in Usa suggerendo che imporra’ un “sostanzioso dazio doganale” sulla merce straniera che entra nel Paese. Inoltre, “se qualcuno vuole creare una fabbrica”, spiega Trump, “tutto sarà veloce, si dovrà affrontare una procedura ma sarà veloce”, aggiungendo che questo nuovo governo si prenderà cura dell’ambiente e della sicurezza.

L’obiettivo della nuova amministrazione americana, come spiegato varie volte da Trump e ribadito anche oggi all’incontro con i diversi manager dell’industria manifatturiera americana, è siglare accordi bilaterali con le nazioni asiatiche e non solo. Proprio in questa direzione prende forma il nuovo accordo bilaterale con la Gran Bretagna e con il premier britannico Theresa May con cui è in programma il primo summit con un leader straniero e in cui si discuterà di “trade”, la forma preferita nel clima di American First rispetto ad accordi multilaterali. Anche se un patto con la Gran Bretagna su questo fronte non appare rapidissimo poiché quest’ultima deve tuttora definire i suoi apporti con l’Unione Europea.

Inoltre, il presidente americano ha firmato anche un ordine esecutivo con cui ristabilisce il divieto di finanziare con fondi federali le Organizzazioni non governative internazionali che praticano aborti o forniscono informazione a riguardo. Si tratta di un provvedimento che, da quando fu introdotto nel 1984, è stato revocato dalle amministrazioni democratiche e reintrodotto da quelle repubblicane che si sono negli anni succedute. A cancellare il bando, l’ultima volta, era stato il presidente Barack Obama nel 2009. Ora Trump ha appunto ripristinato il divieto di usare fondi del governo per sovvenzionare gruppi che pratichino o forniscano consulenza sull’aborto all’estero.

Non male come inizio quello di Donald Trump, ma ci chiediamo: quando l’Europa, e in particolare l’Italia, aprirà gli occhi e si innalzerà a faro di civiltà?