Socialismo municipale in provincia: 8 mila aziende fanno capo ai Comuni

di Redazione
11 Gennaio 2017

In Italia per fortuna non vige il socialismo di Stato, ma nei territori locali è diffusa una versione nazionale di socialismo municipale.

La memoria corta della politica italiana ha già rimosso che non più di un mese e mezzo fa la Corte Costituzionale ha bocciato, per vizi nella sua procedura di adozione, il pur blando decreto di riforma delle aziende di servizi pubblici locali. Credo che le decine di migliaia di aderenti al sistema del socialismo municipale italiano, già ben poco scalfiti dal progetto di riforma, ancora festeggino visto che non si avverte neanche l’ombra di un nuovo intervento riformatore. E c’è poco da stupirsi, perché proprio tra le circa ottomila municipalizzate, tra i circa quarantacinquemila membri dei CdA e dei collegi sindacali, fra le decine di migliaia di lottizzati che vi operano, nelle regioni rosse come la Toscana ancor più che nelle altre regioni, sta il cuore di quella nomenclatura partitocratica su cui si regge, soprattutto a livello locale, il sistema di potere del PD.

Col solito candore e stupore va colta però l’altra faccia della medaglia: siamo in presenza spesso di aziende indebitate che pesano sulle spalle dei contribuenti, con larghe sacche di inefficienza, e che, vuoi nel trasporto locale (pensiamo ad esempio a Roma), vuoi nel settore dei rifiuti o in altri settori, erogano a prezzi alti servizi di bassa qualità ai cittadini. Tant’è che due anni fa ci aveva pensato l’allora commissario alla spending review Carlo Cottarelli ad intervenire con una riforma seria e radicale, ma dovette immediatamente lasciare la poltrona perché senza volere era andato a toccare la carne viva di quel mondo dei poteri locali da cui proveniva lo stesso Premier Matteo Renzi.

A questo punto chi scrive, col suo candore riformista, pensa che non si possa certo affidare ai Sindaci la funzione di mettere ordine nelle municipalizzate da cui loro stessi acquisiscono il sistema di consensi, ed era questo l’errore dell’approccio del decreto Madia. Meglio puntare su di un’agenzia nazionale, indipendente dal potere politico, cui affidare la mission e condurre adeguate liberalizzazioni nei settori di intervento delle aziende pubbliche locali e di avviare un processo di adeguate privatizzazioni.

Così ad esempio avvenne con l’unificazione della Germania Est, in cui fu affidata ad una agenzia nazionale, la Treuhandelstat, la privatizzazione delle circa ottomila aziende pubbliche di cui si nutriva quel modello di socialismo reale, e guarda caso, anche le nostre municipalizzate sono circa ottomila.

A questo punto, mi sembra l’unica via per superare il socialismo municipale.

Luigi Tivelli