Filippo Corridoni: Le due anime del “sindacalista rivoluzionario” raccontate da Luca Lezzi

di Redazione
15 Gennaio 2018

“Io rimarrò sempre il Don Chisciotte del sovversivismo; ma un Hidalgo senza ingegno, pieno soltanto di fede. Morirò in una buca, contro una roccia, o nella corsa di un assalto ma ‒se potrò‒ cadrò con la fronte verso il nemico, come per andare più avanti ancora”. Così diceva di sé Filippo Corridoni, figura esemplare del XX secolo, la cui memoria viene preservata ancora oggi da scritti come quello di Luca Lezzi che al “sindacalista rivoluzionario” ha dedicato una biografia, edita nel 2015 da Circolo Proudhon.

Una vita intera spesa in difesa di un ideale: ridefinire il concetto di sindacalismo e restituire la priorità ai diritti dei lavoratori. Parteggiare per i più deboli era una vocazione che Corridoni aveva dimostrato già a soli undici anni quando, insieme ad un suo compagno di scuola, aveva deciso di distribuire un centinaio di copie dell’Inno dei lavoratori  nel piccolo paese delle Marche dove era nato. Figlio di un operaio di una fornace, studia per diventare disegnatore tecnico ma si avvicina contemporaneamente ai testi di Mazzini, Marx e Pisacane, che saranno fondamentali per la sua formazione e per il suo impegno. Proprio dalle tesi risorgimentali mazziniane prenderà le mosse la sua idea di ripensare il modello di Stato: una repubblica fondata  sul concetto di democrazia diretta e strutturata su base federativa, come descritto nell’opera di Corridoni “Sindacalismo e Repubblica” inserita come appendice a chiusura della biografia; analogamente, dal socialismo scientifico di Marx è ripresa la convinzione che “l’emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi” e che innovare le organizzazioni sindacali e le relazioni industriali sia una vera necessità.

Nell’ Italia “grande proletaria” dei primi del Novecento, il sindacalista marchigiano prende parte attivamente‒spesso anche sotto falso nome, a causa delle continue accuse e incarcerazioni a cui fu soggetto‒ ad ogni fase storica cruciale del suo tempo: la “seconda rivoluzione industriale” a Milano, da segretario del circolo giovanile di Porta Venezia del Partito Socialista; gli scioperi bracciantili in Emilia, alla direzione della Camera del lavoro di San Felice sul Panaro; il congresso istitutivo dell’ U.S.I., Unione Sindacale Italiana nel 1912 e poi la costituzione dell’U.S.M., Unione Sindacale Milanese, nel 1913; infine la “settimana rossa” del 1914, che rinsalda l’amicizia con il futuro “Duce d’Italia”. Ma soprattutto, Corridoni vive intensamente e personalmente la frattura in seno al partito socialista tra l’ala riformista e quella rivoluzionaria, oltre che il dibattito sul futuro ingresso dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale, distinguendosi per le sue posizioni trasversali e “controcorrente” . La scelta di arruolarsi volontario gli varrà la fama di “traditore” negli ambienti neutralisti, e al contempo lo ergerà a simbolo, martire e patriota nelle frange interventiste (in suo onore e per volere di Mussolini, la sua città natale nelle Marche verrà rinominata Corridonia nel 1931) dopo la sua morte eroica in battaglia, “con la fronte verso il nemico” come aveva drammaticamente profetizzato. Meglio di chiunque altro Corridoni ha saputo interiorizzare i valori del sindacalismo rivoluzionario, diventando, come afferma Lezzi, “l’elemento di congiunzione tra il socialismo risorgimentale e la sinistra fascista”, o come lui stesso si definiva, “Hidalgo senza ingegno, pieno soltanto di fede” che ha lottato contro i mulini a vento della borghesia, della decadenza del partito socialista e dell’ingiustizia sociale.