Lo studio del prof. olandese: “Nessun paese occidentale è riuscito ad integrare gli immigrati islamici”

di Lorenza Formicola
12 Marzo 2019

“Sebbene non sia completamente assente nei musulmani, il cambiamento è di gran lunga più lento”. Firmato Ruud Koopmans, professore di sociologia a Berlino e direttore del dipartimento “Migrazione, integrazione e transnazionalizzazione” della Wissenschaft Zentrum Berlin für Sozialforschung (WZB), da oltre vent’anni analista e ricercatore di movimenti sociali, cittadinanza, fondamentalismo religioso, sociologia, immigrazione e multiculturalismo. Le sue ultime esternazioni stanno facendo discutere perché mettono a nudo il problema dell’immigrazione e della diversità culturale in Europa, che propongono l’islam come un’eccezione. 

L’oggetto della speculazione del professor Koopmans è l’integrazione come possibilità esclusa dall’islam. Se, infatti, caratteristica generale dell’immigrato è quello di tendere in tempi brevi ad integrarsi nel luogo in cui è emigrato, ad assimilare cultura e tradizione e a cercare nella nuova lingua da imparare il primo stimolo per l’integrazione, per i musulmani in Europa è anche tutto ciò che evitano. Non si tratta di perdersi nelle decine di sure del Corano – che pure sono tante ed esplicite – per riscoprire l’ostilità all’integrazione. Piuttosto, di ammettere l’incompatibilità musulmana con la cultura dei diritti umani, e quindi con la cultura cristiana che fonda l’Occidente. 
Sono le norme imposte dalla shari’a a dettare il confine al di là del quale un musulmano non può andare. E sono tutte in netta contrapposizione con quelle che culturalmente appartengono alla cultura occidentale. Il problema, infatti, non è quanto grande può essere il “gesto d’amore” che le varie società compiono per integrare gli islamici, quanto l’opposizione che essi arrecano.

Il Corano è un “dettato di Dio per dare un testo sacro”. Il dettato divino contiene delle contraddizioni, in quanto i primi versetti di Maometto ancora alla Mecca sono più tolleranti rispetto a quando il profeta raggiunge Medina. Là dove comincia gli ultimi dodici anni di conquiste e guerre, e che sono caratterizzati da versetti particolarmente aggressivi. Il Corano allora chiarisce che i versetti venuti dopo cancellano i precedenti. I versetti più duri hanno cancellato i versetti più aperti, ed è pertanto questo è l’islam. Quello, per intenderci ancora meglio, de “uccidete i miscredenti ovunque li troverete”. 
I musulmani in Europa vogliono vivere secondo i principi della loro religione e della loro cultura. Si deve sapere che l’islam è progetto sociale e politico le cui basi culturali sono estranee a quelle della cultura europea. In un precedente studio del professore intitolato “Fondamentalismo e ostilità fuori dal gruppo”, Koopmans ha desunto che il “65% degli islamici afferma che le regole religiose sono più importanti per loro rispetto alle leggi del Paese in cui vivono”.

Secondo il professore olandese, “il mondo islamico è in ritardo rispetto al resto del mondo quando si parla di democrazia, diritti umani e sviluppo politico ed economico. [….] L’islam è una minaccia per la pace mondiale e impedisce l’integrazione”. 
Siccome è politicamente un tabù fare distinzioni tra gruppi etnici quando si parla d’immigrazione, le affermazioni di Koopmans suonano particolarmente odiose in virtù del fatto che gli studiosi affermano soltanto che tutte le culture si equivalgono.  
Le reazioni agli attentati terroristici di matrice islamica, per esempio, sono sempre le stesse. “Che cosa abbiamo fatto noi europei per indurre i seguaci di una religione di pace a commettere simili gesti?”.Peter Vandermeersch, il redattore capo belga del quotidiano olandese NRC-Handelsblad e lo scrittore belga David Van Reybrouck, entrambi esperti intellettuali, hanno sostenuto – dopo gli attentati di Bruxelles del 2016 – che il Belgio doveva aver fatto qualcosa di terribile per meritarsi quel trattamento. La linea di ragionamento è che la rabbia dei terroristi deve essere una reazione al trattamento disumano dell’Occidente. La tecnica è incolpare noi europei, le nostre società e le condizioni socioeconomiche per lasciare l’islam meritevole di nessuna critica.Eppure, se anche solo volessimo fermarci a Bruxelles e al famigerato quartiere di Molenbeek – il cuore jihadista d’Europa – scopriamo che il tasso di disoccupazione è pari al 30%. Una povertà non dovuta alla mancanza di infrastrutture mediche, scuole o lavoro. Non c’è fame. Là, come in qualsiasi altro paese dell’Europa occidentale, molte istituzioni e organizzazioni belghe offrono, al contrario, sostegno quando le famiglie hanno bisogno di alloggi, cibo, istruzione e assistenza sanitaria.

Le opportunità per il successo, per studiare e diventare un membro rispettato nella società, sono innumerevoli rispetto a quelle che esistono in molti paesi di origine degli immigrati. Eppure, esiste e resiste un profondo risentimento tra le giovani generazioni di famiglie marocchine immigrate. Ma, soprattutto, è evidente il rifiuto di lavorare e d’integrarsi. Non c’è dubbio che la disoccupazione sia molto più alta tra le comunità di immigrati musulmani che tra il grande pubblico. I giovani, e meno giovani, musulmani in giro per l’Europa esprimono il rifiuto di accettare i concetti essenziali della vita in Occidente. Si rifiutano di abbracciare i codici sociali occidentali e vivono nella consapevolezza che la loro etica religiosa prevalga su quella degl’infedeli. Noi cosa abbiamo fatto per loro? Abbiamo aperto le nostre città, i nostri finanziamenti, messo da parte le nostre radici perché nei templi del progresso occidentale loro si lasciassero saltare in aria uccidendo innocenti.  Senza avere, ancora, il coraggio di affermare che rifiutano d’integrarsi.