Risposta a Michele Serra: la cultura come valore borghese

di Marco Bachetti
23 Aprile 2018

Ho frequentato il liceo classico al centro di Roma, figlio di quella borghesia colta che educa al “rispetto delle regole” e, soprattutto, alla “padronanza dei gesti”. I professori figli del ’68 ci dicevano che eravamo privilegiati e che saremo diventati classe dirigente di questo Paese: stimolavano la competizione, favorivano l’esclusivismo della cultura, decisamente più inclini a formare brillanti laureati che uomini e donne. Al termine di tutto questo, le celebrazioni per le ammissioni in atenei prestigiosi e nelle Facoltà di Medicina. Tutti orgogliosi dei loro figli prodigio, così colti, educati e destinati ad un percorso brillante nella società.

Che belli questi millennials, autonomi e preparati, capaci di ragionare con la loro testa. Non si sono adeguati alla degenerazione culturale della nostra epoca, alla tv spazzatura di Berlusconi, al cyberbullismo e all’ignoranza diffusa di una generazione preda dei populismi. Vivono nei centri delle città, sono cittadini del mondo e parlano almeno un’altra lingua oltre l’italiano. È cresciuta così una generazione, all’apparenza educata e rispettosa come dice Serra, nella sostanza alienata, tanto brillante e preparata quanto disorientata. Non conosce il popolo, peggio ancora non conosce gli uomini, assomiglia a una macchina programmata per studiare, lavorare, produrre. Fare successo.

Una classe dirigente adeguata dovrebbe invece occuparsi del popolo, conoscere i suoi bisogni, le sue aspirazioni. Un imprenditore, un dirigente d’azienda, un medico o un politico dovrebbero conoscere le persone prima ancora del loro mestiere. E il liceo, per quanto ne dica Serra, non insegna nulla di tutto ciò. La colpa non è certamente della “struttura fortemente conservatrice” della nostra società quanto piuttosto di una connotazione della cultura coma valore borghese. Il bene comune è stato soppiantato dal successo individuale e la mobilità sociale ha paradossalmente favorito il distacco tra alto e basso, tra popolo ed élites. Serra sbaglia perché chi cerca di interpretare il profondo sentire del popolo non è un consolatore, un imbonitore populista ma un interclassista che volge lo sguardo al bene comune, alla luce dei fallimenti dell’individualismo delle borghesie illuminate.