Piccolo prontuario per il conservatorismo nel mondo 2.0
9 Ottobre 2016

Benvenuti nell’era dell’immediatezza digitale, del mondo senza confini e dell’ingurgitare tutto, velocemente, senza sosta; nell’era del viaggio snaturato dalla reale e profonda percezione della terra altrui; quasi trasformato in attività consumistica: volo a basso costo – più basso della spesa dal buon Caprotti – ogni fine settimana una città europea diversa, pillole di cultura… Cultura, dal tutto è politica al tutto è cultura. Qual è la funzione della cultura? Coltivare, fondamento, profondità… lentezza. Rallentare, frenare in questa corsa ormai incontrollabile. Non si permette di riflettere, di andare in profondità, di capire. Fare, produrre, consumare. Ma forse la dignità dell’uomo non sussiste esattamente per il fatto di esistere e quindi di provenire da qualcosa? Da sua madre, dalla sua famiglia, dalla sua comunità, dalla sua Terra e infine dalla sua storia.
Historia magistra vitae e tutte le altre inflazionate frasi fatte, da medie e liceo – rigorosamente classico – sentite e risentite. Ma ciò fonda la dignità umana e che valga la pena conservare tutto ciò! Difendi, conserva, prega esortava l’eretico Pier Paolo Pasolini. Difendi, conserva, prega oppure io sono una Forza del Passato, solo nella tradizione è il mio amore, vengo dalle pale d’altare, dai ruderi... Ebbene si può conservare tutto, dalla marmellata allo status quo, ma non è qui la sfida. Tutti i gruppi che arrivano al Potere da rivoluzionari diventano conservatori. Occorrono i princìpi permanenti di Prezzolini! Occorre Nomos, ordine, legge e pascolo in greco. Sì! Proprio così! Spazio e legge hanno la medesima radice. Nemein – notava il grande Carl Schmitt – è il verbo della Genesi, il verbo della Creazione: chiamare per nome e ordinare. Il nome ci guida – sempre lentamente, non dimenticate – alla profondità dei significati, all’origine. Non per nulla i Romani ordinavano la realtà definendo in maniera precisa, secondo funzione ed essenza, le cose. Voglio scoprire l’essenza delle cose, conoscere la loro storia. Insomma acculturarsi! Ma che bella idea! Ormai “farsi una cultura” nel famoso mondo di cui discorrevamo prima – quello dei contenuti digitali, accessibili senza fatica, immediati per intenderci – può essere pericoloso o perlomeno frastornante.
Si passa dalle bufale, passando per le pagine Facebook (molto meno commestibili) fino a giornali e blog 2.0, 3.0, 4.0 e via che s’impara a contare. Semi-cultura sparsa qua e là, fatta di superficialità, senza storia, senza classici, senza essenza. Compiti per casa: si vuole intendere qualcosa della contesa Israele – Palestina? Iniziamo ad aprire la Bibbia! Sulla Russia? Leggiamo Dostoevskij! L’essenza delle cose sta in quei maledetti libri da centinaia e oltre di pagine. Certo un breve articolo di the Post… – pardon mi sono ripromesso di non attaccare frontalmente nessuno – si può leggere sulla Tavoletta o sul Cellulare Intelligente (così lo chiamano alcuni amici di Roma) in pochi minuti, tra un meeting e un altro. All’ombra dei campanili, delle fabbriche, dei ruderi abbandonati alla decadenza di questa benedetta Penisola, si sono avvicendati movimenti su movimenti sotto la bandiera del Conservare. L’unico punto d’incontro è stato l’economia e la sua concezione: conservazione d’interessi, conservazione di equilibri. La rivoluzione liberale. Per liberare cosa? La rivoluzione conservatrice!
Per conservare i ruderi, i campanili, gli altari e la Bellezza di questa Terra rallentiamo, conserviamo e difendiamo. Tutto crolla e si disgrega. Comunità e rudere. Per conservare un rudere dobbiamo saperne la storia, dobbiamo conoscerne così il valore. La comunità e la famiglia, la Madre di quel pazzo visionario di Pasolini, sono l’origine, l’essenza. Tenetevi il folle ritmo della produzione, del consumo, della crescita finanziaria – che si scontra col bilancio, insito nel nome, dell’economia reale – oikos e nomia. Conservatori del rudere o conservatori del sistema che non conserva nulla, nemmeno la marmellata, tanto si produce e se ne compra ancora.