Dio, famiglia e ragione: la filosofia eroica di Giambattista Vico

di Francesco Boco
2 Gennaio 2017

Giambattista Vico è annoverato tra i massimi filosofi italiani. La sua opera maggiore, la Scienza Nuova, venne pressoché ignorata dai suoi contemporanei, ma venne ampiamente diffusa, letta e apprezzata nei decenni successivi. La vastità di prospettive del pensiero vichiano venne interpretata nel corso del tempo nei modi più disparati e divergenti: alcuni lo considerarono un reazionario e altri un rivoluzionario, alcuni un fervente cattolico e altri un eretico in odor di paganesimo.

La filosofia vichiana si scontra frontalmente con le convinzioni cartesiane all’epoca in voga, opponendo al cogito ergo sum il verum ipsum factum, egli cioè sostiene che possa essere compreso dall’uomo unicamente ciò che è opera concreta, e dunque storica; il resto è pura astrazione non verificabile e priva del crisma di verità. D’altronde la verità è un qualcosa di divino che l’uomo può attingere solo gradualmente, mentre nel mondo materiale si può affidare alla certezza delle consuetudini conosciute e applicate.

È evidente che il rapporto del filosofo napoletano con la fede cristiana è complesso e la Scienza Nuova è attraversata da una tensione interpretativa che ancor oggi ne mantiene vivo il messaggio. La monumentale opera è forse la prima organica interpretazione della storia della civiltà scritta fino ad allora, una costruzione teorica indubbiamente difficoltosa e talvolta oscura che affronta con grande ingegno l’Antichità e il Medioevo, per inserirli in un più ampio disegno provvidenziale.

Vico, seguendo la tradizione egizia e per certi versi la concezione delle età di Esiodo, parla di tre età dell’uomo a cui corrispondono tre diversi linguaggi, tre tipi di governo, tre tipi di religione e così via. Egli si discosta dall’idea tradizionale di un’età dell’oro all’inizio dei tempi, per lui l’essere umano prima della civiltà, cioè prima della vita comunitaria organizzata da un ordine e da una religione, è una creatura egoista e violenta che vive in una condizione non dissimile da quella immaginata da Hobbes. È l’intervento della Provvidenza a creare le condizioni affinché la vita umana sopravviva e si conservi: «Perché pur gli uomini hanno essi fatto questo mondo di nazioni; ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito da una mente spesso diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini particolari ch’essi uomini sì avevan proposti; quali fini ristretti, fatti mezzi per servire a fini più ampi, gli ha sempre adoperati per conservare l’umana generazione in questa terra» (pp. 543-544). Attraverso una sorta di terrore sacro causato dagli elementi atmosferici gli uomini primitivi si destano a una religione errata, ma secondo Vico necessaria, affinché sorgano leggi e ordinamenti, cioè le basi della civiltà e della storia umana. La religione è il principio attorno al quale si crea una forte coesione, perciò non sono possibili civiltà atee.

L’influenza della Provvidenza opera per gradi e inizialmente si esplica attraverso una religiosità errata, il politeismo, allo scopo di fornire all’essere umano i fondamenti di successivi sviluppi. La prima età è dunque quella poetica, caratterizzata dalla fantasia e da una forte teocrazia in cui il potere è concentrato nelle mani di pochi sacerdoti. La seconda età è quella degli eroi, in cui la religione diviene un fatto di maggiore partecipazione, il governo passa in mano all’aristocrazia e il linguaggio è quello del mito. In questa fase storica, che si colloca all’apice del mondo antico greco-romano, emergono le virtù classiche che Vico mostra di ammirare maggiormente. Eroismo, devozione, famiglia patriarcale e così via. Specie nella parte conclusiva della sua opera, questa seconda età sembra confondersi e comprendere la prima età poetica, dato che la poetica omerica dà viva voce al mondo degli eroi. A questa segue la terza età, quella della razionalità e in cui l’uomo incontra la vera fede. In quest’epoca sorgono i migliori governi, quelli che fanno il bene di tutti e che secondo Vico sono il governo popolare e la monarchia. Di nuovo, linguaggio, diritto, religione, arte ecc. rispecchiano in pieno i principi della propria età storica, così da formare un tutto organico.

Il filosofo napoletano conserva lungo tutta la trattazione una chiara ammirazione per il mondo greco e romano, tanto che gli ideali di governo e di razionalità sono strettamente legati alla concezione antica delle virtù. Nella concezione della storia vichiana a un’idea genericamente ciclica delle età, che è anche nota un po’ superficialmente come “dottrina dei corsi e ricorsi storici”, si associa con qualche contraddizione la fede cattolica fondata sulla temporalità lineare cristiana. Le tre età della civiltà umana non conducono secondo Vico a un paradiso terrestre, ma terminano in una decadenza che conduce di nuovo alla barbarie degli inizi e poi di nuovo alle tre età storiche: «La natura de’ popoli prima è cruda, dipoi severa, quindi benigna, appresso dilicata, finalmente dissoluta» (II, LXVII, p. 106). Il Medioevo era per lui una sorta di barbarie degli inizi ritornata, solo di grado diverso per così dire, perché si collocava nuovamente al principio di un nuovo corso storico di civiltà.

In questa concezione cronologica la linearità cristiana viene pressoché esclusa, ma bisogna aggiungere che il pensiero vichiano arricchisce la pura e semplice ciclicità di una ulteriore complessità. Vico dice in sostanza che vi è una storia universale, quella che ha la sua verità nelle tre età, su cui si dipana la storia concreta umana che è sempre libera anche se guidata dalla Provvidenza. Vi è un fondamento platonico su cui si regge il divenire storico che non può essere considerato né rigidamente ciclico né puramente lineare, ma si mantiene sempre aperto alla possibilità umana di scongiurare il declino o di rispondere alla decadenza con una nuova, ritornante, assegnazione di senso.

Questa visione filosofica chiarisce il senso della bella e intensa orazione intitolata De mente heroica, che l’allora professore di Retorica Vico tenne all’apertura dell’anno accademico allo scopo di stimolare i giovani allo studio e alla virtù. Il pensatore napoletano rivolge il suo appello ai giovani affinché si applichino con serietà e costanza nelle proprie materie, facendo così emergere e risplendere quelle facoltà della mente che più di tutte accomunano l’uomo a Dio. Il percorso verso la conoscenza è infatti graduale e difficoltoso, ma solo attraverso un costante lavoro su di sé e grazie alla guida di maestri preparati possono essere conseguiti quei traguardi che rendono migliore l’essere umano.

Per Vico il richiamo alla mente eroica non è soltanto un’efficace formula retorica, ma è la sincera espressione che sintetizza un atteggiamento fiducioso alle nuove generazioni, le quali hanno il compito di sviluppare le facoltà interiori che possano produrre il bene della comunità. Risulta quindi chiaro che la sapienza è per il filosofo napoletano un’arma che va forgiata con perseveranza affinché possa influire nella realtà dando buoni frutti. Il fondo eroico che Vico intende evocare richiama evidentemente l’età degli eroi declinandola in modo inedito e diacronico, cioè slegandola dall’età storica specifica per renderla operante in tempi differenti.

La storia vichiana è dunque ambigua nella vastità di orizzonti e possibilità che non cessa di aprire alla volontà umana. Se Vico rifiuta l’idea di destino perché la considera rigidamente deterministica, si affida a una Provvidenza che invece non farebbe che indirizzare l’andamento delle cose senza interferire con la libertà umana. Questa posizione può oggi risultare poco convincente, ma va letta nel contesto della realtà teoretica del XVIII secolo in cui Vico emerge come un caso raro di aperto avversario delle correnti razionaliste e positiviste imperanti. L’eroismo a cui si richiama con convinzione e passione il napoletano è un elemento di grande importanza all’interno di una dottrina filosofica che conserva tutta la sua rilevanza in tempi di stagnazione che sembrano sempre più richiedere un salutare scossone rinnovatore.