Conservare la libertà storica

di Francesco Boco
10 Ottobre 2016

Il modo di vedere la storia, il senso del divenire e il posto dell’uomo in questo flusso è un aspetto determinante della cultura in senso profondo e ampio. La visione lineare ed evolutiva è più propensa a fornire argomentazioni al pensiero progressista e alla sua fiducia in un costante miglioramento delle cose. Il pensiero regressivo può forse essere più vicino a una visione ciclica del tempo, che per semplificare si potrebbe definire stagionale od organica. In entrambi i casi il discorso si complica a seconda dell’autore considerato – Kant ad esempio non era particolarmente ottimista nei confronti della bontà umana, i cicli di Vico tendono a una sorta di determinismo illuminista – e a eventuali contaminazioni e incroci di idee e prospettive.

Il peso del passato è sempre relativo e condiziona la visione culturale di ciascuno. Chi considera il passato un fatto chiuso e non più ripetibile solitamente si colloca nel campo progressista, con corollario che il domani sarà meglio di ieri. La prospettiva ciclica considera il tempo un modello esemplare, un insieme stratificato di significati e configurazioni che tornano periodicamente. Ma lo sguardo sulla storia e sulla temporalità umana non si esaurisce a queste due sole correnti. Dopo la frattura provocata dalla Rivoluzione Francese e le esperienze storicamente determinanti dei totalitarismi, si è imposto un approccio nuovo al tempo che ad esempio Martin Heidegger ha definito “triestatico” e che per semplicità si può chiamare tridimensionale.

È evidente il senso anche spaziale di questa definizione, la quale considera la storia l’ambito in cui l’Essere, cioè l’origine primordiale, si fa evento nel mondo. Da questo punto di vista il passato non è né statico ricordo consegnato a una dimensione superata una volta per sempre e neppure un’epoca d’oro che tornerà solo alla fine dei tempi. Il giudizio sul passato non è strettamente fissato sul dualismo peggio-meglio, ma su un’osservazione plastica, genealogica, che in continuazione prende il passato come materia viva e lo trasforma in funzione dell’opera presente rivolta al futuro.

Questo proiettarsi in avanti, questo autosuperamento di sé e del limite crono-spaziale a cui sono consegnate le cose mondane, si compie pienamente in quel progettare che mentre si getta verso l’avvenire, conserva il passato come memoria viva.

Un approccio conservatore di questo tipo non si limita dunque a un atteggiamento museale, che in fondo non sarebbe che una fine della storia di segno opposto, ma piuttosto mantiene viva la libertà storica dell’uomo proprio affermandone sempre e nuovamente la sua libertà di scelta. Mentre solitamente si considera la cultura conservatrice come una corrente pessimista e rivolta nostalgicamente al passato, è auspicabile un capovolgimento dei termini che colga quello che è il nucleo essenziale della conservazione.

In primo luogo e massimamente la cultura conservatrice, declinata nelle più svariate forme a seconda dell’autore, non si esaurisce in se stessa o in un programma determinato fissato una volta per sempre; ciò che resta come nucleo vivo è la possibilità storica, che significa anche conservare la libertà storica dell’uomo che si afferma attraverso la decisione. Collocarsi in uno spazio e tempo determinati è un fatto reale con cui chiunque deve confrontarsi giornalmente, persino chi sceglie di isolarsi dal mondo (e lo fa proprio perché vi abita qui e ora). Alla luce di quanto detto quindi, l’uomo calato in una realtà mutevole tendente all’uniformità globale, al grande indifferenziato, può ancora rivendicare per sé e la sua comunità, quella che è la sua più alta dignità, la possibilità cioè di agire attraverso la propria volontà nel tempo, traendo insegnamento ed esempio dal passato per una continua affermazione di quelli che sono i principi di libertà, onore e responsabilità che nel corso del divenire si sono manifestati più di una volta. Posto davanti alla continua domanda della storia l’uomo può lasciare ad altri il compito di decidere, o può assumersi il rischio di rispondere.

«Ogni azione ed impresa storica dell’uomo è risposta ad una domanda posta dalla storia. Una situazione storica resta incomprensibile finché non viene intesa come un appello all’uomo e, allo stesso tempo, come la risposta dell’uomo a tale appello. Ogni parola umana è una risposta. Ogni risposta riceve il suo significato dalla domanda cui essa risponde, e resta priva di senso per chiunque non conosca la domanda. A sua volta, il significato della domanda sta nella concreta situazione in cui essa viene posta» (C. Schmitt, La contrapposizione planetaria tra Oriente e Occidente, in Il nodo di Gordio, il Mulino).