Cesena, la Romagna e il mondo dell’impresa: un viaggio sullo stato di salute, tra presente, passato e futuro, condotto assieme a Giampiero Placuzzi (vicesegretario Confartigianato)
9 Maggio 2018
«Non è possibile fare una valutazione uniforme, in quanto la situazione è “a macchia di leopardo”. Vi sono settori, come la meccanica di produzione, il settore della produzione alimentare e quello dei servizi alle imprese, che viaggiano su performances elevate di ordini e fatturato. Altri settori, come il commercio al dettaglio (non alimentare in particolare) e la filiera delle costruzioni, che sono in difficoltà. La fortuna del nostro territorio è la notevole varietà dei settori imprenditoriali (artigianato, industria, commercio, turismo, agricoltura) che sono interconnessi, per cui le difficoltà dell’uno possono essere compensate (anche dal punto di vista del reddito complessivo territoriale) dal buon andamento dell’altro». Quale invece il grado di competitività?«Elevato nel settore della meccanica di produzione, nel quale operano diverse piccole e medie imprese, legate alla filiera dell’industria del packaging e dell’automotive di Bologna e Modena, proiettate sui mercati internazionali. Si tratta di imprese che hanno saputo innovarsi nelle loro competenze/risorse interne (macchine digitalizzate e risorse umane adeguate), potendo così offrire alla filiera dei servizi/prodotti a valore aggiunto. In generale, il grado di competitività è andato crescendo con la capacità di innovazione nei prodotti e nei servizi da parte delle imprese. Rimangono attardate le aziende nelle quali questi processi sono più lenti, anche per effetto della crisi degli ultimi 10 anni e del tipo di mercato, locale (edilizia in particolare).» Quali possono essere, secondo lei, sulla base delle caratteristiche, della capillarità e delle connessioni del territorio romagnolo, i motori per uno sviluppo importante?«Ritengo che il territorio abbia un buon mix merceologico/settoriale di imprese (come dicevo sopra: agricoltura di livello elevato; trasformazione agroindustriale; turismo; imprese manifatturiere qualificate). I drivers per un nuovo sviluppo sono: la ricerca e il trasferimento tecnologico, in connessione con l’Università (informatica e ingegneria, in particolare); la predisposizione di nuovi strumenti creditizi e di finanziamento delle imprese (banca delle imprese; crowdfounding; bond di territorio); il welfare di comunità, perché se nel territorio le persone stanno meglio, producono meglio e di più anche le imprese. Vi è infine la necessità che si giunga rapidamente ad una semplificazione del quadro istituzionale locale, perché con le Province che sono in un “limbo”, le unioni dei Comuni che non funzionano, la diminuzione costante dei trasferimenti dallo Stato ai Comuni, il nostro territorio si trova allo sbando e anche i tentativi di creare delle aggregazioni (ASL unica, Agenzia unica del trasporto pubblico) mostrano la corda. Serve un unico riferimento Istituzionale per la Romagna che, io ritengo, non sia il Provincione, bensì la “città metropolitana della Romagna”, la quale avrebbe potere e risorse da investire per il bene delle nostre comunità. Ma qui, il problema è ……. quello delle poltrone!». Ambiente: a Cesena qual è il grado di sviluppo dedicato alla sostenibilità (green chemistry, atom economy) e alla produzione energetica da risorse rinnovabili?«Ritengo che a Cesena, come in gran parte del nostro Paese, siamo in ritardo sui temi della sostenibilità ambientale e della green economy. E’ un problema culturale e di conoscenze che riguarda tutti. Vi è stato negli anni passati il boom del fotovoltaico per effetto degli incentivi, poi la stasi. Serve anche qui una politica di orientamento e incentivazione continua e non episodica, alle energie rinnovabili ma, soprattutto, serve recuperare l’attenzione alla cura del territorio (frane, dissesto idrogeologico, scarichi fognari in mare, cura delle strade,ecc.), perché esso è la precondizione per ogni tipo di sviluppo economico». Qual è la richiesta o la necessità più comune degli imprenditori quando si rivolgono alla Confartigianato?«Le richieste iniziali sono massimamente rivolte alla soddisfazione di esigenze primarie: procedure burocratiche per le iscrizioni/qualificazioni; adempimenti fiscali; gestione dei dipendenti, ecc. Poi l’imprenditore capisce l’importanza di avere una rappresentanza politico-sindacale, che dal territorio giunge al livello nazionale, tramite la nostra Confederazione ed apprezza i servizi a valore aggiunto che la nostra associazione mette a disposizione delle aziende: affiancamento per la partecipazione a bandi pubblici; consulenza per la gestione delle risorse umane e servizi di welfare aziendale; controllo di gestione e finanza d’impresa; consulenza assicurativa; consulenza e servizi energetici». Le Istituzioni: quanto effettivamente agevolano le imprese?«Molto poco. Il problema vero del nostro paese è proprio la carenza di supporto, quando non di ostacolo, da parte delle Istituzioni. Dai servizi di base (strade fisiche e telematiche; problema della sicurezza, funzionamento della macchina pubblica; burocrazia asfissiante, ecc.) a quelli a valore aggiunto (accompagnamento ai mercati esteri, funzionamento del mercato del lavoro; regolazione del mercato del credito)». Dovesse dare un consiglio ad un giovane imprenditore, cosa si sentirebbe di dirgli?«Di prepararsi adeguatamente, sia dal punto di vista tecnico/manuale che da quello della cultura più generale. Oltre ad essere curioso e aperto alle novità che le nuove tecnologie possono portare al business. Di curare al massimo le relazioni interpersonali dentro e fuori l’azienda». Rispetto a cinque-dieci anni fa come si è evoluta l’impresa a Cesena?«Sempre premettendo che non può essere fatta una valutazione uniforme, mi pare di potere dire che è cresciuta la consapevolezza da parte delle imprese che questa è una nuova “era economica” e i fasti di quella passata non ritorneranno. C’è più attenzione ai dettagli e ai costi e maggiore apertura mentale rispetto l’innovazione. E’ anche maturata una maggiore capacità di “fare squadra” da parte degli imprenditori che, notoriamente, sono individualisti. Diversi hanno capito che, senza rinunciare alla propria identità, possono conseguire migliori e maggiori obiettivi, lavorando in gruppo». Come immagina il futuro?«Anche in questo caso, a due facce. Da un lato, ritengo che la vita delle imprese continui ad essere difficile per i nodi che permangono a livello nazionale (peso del debito pubblico; inefficienza dell’amministrazione pubblica nel suo complesso; scarsa qualità del sistema educativo/scolastico; mancato riassetto istituzionale). D’altro canto, ritengo che la globalizzazione e l’innovazione tecnologica, rappresentino formidabili occasioni di sviluppo per le imprese italiane e, in particolare per quelle dei nostri territori, con riferimento a quelle più dinamiche, flessibili e aperte alla competizione». Si può ancora essere al giorno d’oggi artigiani?«In realtà, questa e soprattutto, quella che verrà, è l’era delle imprese artigiane, cioè di quelle imprese capaci di “personalizzare” prodotti e servizi. Cioè imprese “artigiane” non tanto e non solo dal punto di vista giuridico, bensì imprese “artigiane” come approccio al mercato e alla soddisfazione dei clienti. La standardizzazione dei prodotti sarà sempre di più da coniugare con l’esigenza di personalizzare il prodotto per il singolo cliente. E questo, è nel DNA delle imprese artigiane». I lavoratori autonomi quante difficoltà hanno al giorno d’oggi?«Tante! Perché in Italia c’è una legislazione del secolo passato che traccia una linea di demarcazione tra chi è lavoratore dipendente e chi è imprenditore (o, al più, professionista ordinista). Il mondo è cambiato e le nuove tecnologie (internet, stampanti 3D, social, ecc.) hanno fatto emergere nuove tipologie di lavoratori che sono nell’area dell’autonomia, cioè hanno un po’ del lavoratore dipendente e un po’ dell’imprenditore di se stesso. Bisogna assolutamente creare una legislazione per questa terza figura di lavoratore autonomo, perché sarà un buona parte dell’occupazione del futuro». La burocrazia, il dover sottostare ad adempimenti quanto può ostacolare l’impresa nel nostro territorio?«Ho già detto che la burocrazia inutile è uno dei principali problemi del nostro Paese, soprattutto per le imprese e, in particolare, per le p.m.i. Ha un peso notevole anche dal punto di vista strettamente economico, portando via risorse alle imprese, che potrebbero essere destinate alla ricerca e all’innovazione. Confartigianato da tempo ha lanciato una richiesta alla politica: “Ogni nuova legge che approvate, eliminatene due”! L’altro problema della burocrazia è dato dal crescente potere che negli ultimi venti anni, per effetto di una certa legislazione, hanno assunto i dirigenti e funzionari pubblici a discapito del politico eletto (dal Sindaco al Presidente del Consiglio)».
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