Italiani anni ’20 tra debito e crescita

di Michele Orsini
23 Aprile 2021

Il debito pubblico è ormai una costante nel dibattito pubblico italiano. Il problema non è certo recente ma adesso, oltre a raggiungere vette preoccupanti, si accompagna anche alla recessione causata dalla pandemia. Gli ultimi interventi hanno fatto aumentare il debito fino a superare il record storico del rapporto debito/PIL più alto: oggi siamo al 159,8 per cento superando così dello 0,8 per cento quanto raggiungemmo nel 1919/1920 dopo la prima guerra mondiale e in pieno biennio rosso.

Dai dati della Banca d’Italia possiamo notare che, come in gran parte dei paesi europei, dagli anni Sessanta il rapporto è cresciuto considerevolmente a seguito delle politiche di welfare non accompagnate da un aumento delle entrate. L’introduzione del calcolo retributivo per le pensioni pubbliche, la creazione del Servizio sanitario nazionale e le baby pensioni comportarono un notevole aumento del debito.

Dal 1980 al 1994, infatti, si passò dal 56 per cento al 121 per cento. Di questo aumento viene spesso accusato il “divorzio” tra la Banca d’Italia e il Ministero del Tesoro, all’epoca presieduti rispettivamente da Carlo Azeglio Ciampi e Beniamino Andreatta. Si tratta di una accusa infondata: il “divorzio” non fu repentinoma lasciava alla Banca centrale la decisione di comprare o meno e in quale quantità i titoli del Tesoro rimasti invenduti, titoli che comunque continuò a comprare fino al 1994. Il “divorzio” contribuì a ridurre l’inflazione e avrebbe dovuto coincidere con una revisione delle politiche di bilancio orientandole ad una riduzione e rimodulazione della spesa affinché si evitasse un eccessivo indebitamento.

Ora, con la graduale riapertura delle attività, l’economia tornerà a crescere. Il deficit tornerà sotto la soglia del 3 per cento nel 2025 e con il Next Generation EU la crescita sarà vigorosa.

Oltre al PNRR, che disciplinerà l’uso dei fondi europei, sarà necessario compiere delle riforme incisive a partire dal fisco sia efficiente e non strozzi la produttività. Sarà necessario intraprendere delle misure per facilitare l’attività di impresa riducendo gli oneri burocratici e trasformando molte autorizzazioni ed adempimenti burocratici in autocertificazioni.

Bisognerà agire sui tempi della giustizia, poiché la lentezza dei processi sfavorisce gli investimenti. Il Governo nel DEF prevede una serie di riforme per la crescita e ha annunciato lo sblocco di diverse opere pubbliche con la nomina di commissari. Per la crescita sono vitali delle infrastrutture che permettano di collegare il paese adeguatamente non solo da Nord a Sud ma anche da Est a Ovest.

Grande rilevanza dovrebbero avere i porti del sud, che se ben potenziati e collegati ad una rete autostradale e ferroviaria adeguata potrebbero diventare fondamentali scali per il commercio marittimo al pari dei porti tedeschi e olandesi del Northen Range per intercettare il commercio marittimo del Mediterraneo, sempre più via di comunicazione tra Oceano Indiano e Atlantico.

La riforma fiscale prevista dal governo potrebbe essere l’opportunità per l’introduzione di politiche di natalità e ridurre, nel lungo periodo, l’età media della popolazione, politica più che necessaria visto che l’Italia è il terzo paese per età media più alta dopo Giappone e Germania. Inoltre diventa sempre più importante fermare la fuga di cervelli aumentando gli investimenti in ricerca e sviluppo e rendendo più facile la creazione di start-up. Queste misure non possono che generare un aumento del PIL oltre che una maggiore diversità economica del paese.

Ora che il debito ha raggiunto livelli preoccupanti è doveroso non solo crescere ma anche gestire la cosa pubblica in maniera più efficiente abbandonando la logica delle mancette clientelari e favorendo una politica di bilancio seria per non lasciare alle future generazioni un paese più in difficoltà di quanto non lo sia già.